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Cronaca

Cadde sul lavoro ed è morto dopo sette mesi: aperta un'inchiesta

Enrico De Waure è deceduto dopo mesi di cure. La procura di Napoli ha aperto un fascicolo per omicidio colposo

È caduto rovinosamente mentre stava eseguendo alcuni lavori edili, di tinteggiatura, per conto dell’attività di un conoscente e da allora è iniziato un lungo calvario, di interventi chirurgici, di ricoveri in diverse strutture ospedaliere, fino al tracollo finale. La procura di Napoli, tramite il sostituto Mario Canale, ha aperto un procedimento penale con l’ipotesi di reato di omicidio colposo per la morte di un 63enne partenopeo, Enrico De Waure, deceduto sabato 20 febbraio 2021 all’ospedale del Mare in conseguenza dei gravissimi traumi subiti il 9 luglio 2020 a seguito di un infortunio sul lavoro accaduto nel quartiere di Fuorigrotta.

Il sostituto procuratore ha iscritto nel registro degli indagati il proprietario dell’immobile presso e per il quale la vittima stava lavorando e ha disposto l’autopsia sulla salma per accertare le cause del decesso. L’incarico verrà conferito venerdì 26 febbraio 2021, alle 11, presso il nuovo Palazzo di Giustizia. Neppure i familiari dell’operaio, che lascia l’anziana mamma e numerosi tra fratelli e sorelle, sanno esattamente cosa sia successo quel maledetto mattino del 9 luglio dello scorso anno, ed è anche per fare piena luce sui fatti che, dopo la morte del loro caro, attraverso i consulenti legali Luigi Cisonna e Vincenzo Carotenuto, si sono affidati a Studio3A-Valore.

Di certo c’è che il lavoratore, in seguito a una caduta da una certa altezza, all’incirca a mezzogiorno viene trasportato in ambulanza in condizioni gravissime e in codice rosso all’ospedale San Paolo dove però, non essendoci la Neurologia, non sono attrezzati per assistere adeguatamente il paziente che presenta un preoccupante trauma cranico. Di qui l’immediato trasferimento al San Giovanni Bosco, dove De Waure rimane per otto lunghe ore nel reparto di Neurochirurgia prima di essere ricoverato in Rianimazione e tenuto in coma farmacologico: la situazione è critica, la prognosi ovviamente riservata. I medici sono costretti ad operarlo al cervello per ridurre la pressione dell’ematoma e a sottoporlo a tracheotomia, ma con il passare dei giorni le sue condizioni sembrano migliorare, tanto che i sanitari riducono la sedazione e cominciano a svegliarlo.

Dopo due mesi e mezzo, e dopo che gli hanno applicato anche la Peg, il 21 settembre viene dunque trasferito nella casa di cura Santa Maria del Pozzo, a Somma Vesuviana, per tentare la riabilitazione. Qui, tra piccoli passi avanti e ricadute, rimarrà fino a tre giorni prima del tragico epilogo, a parte una breve parentesi l’11-12 febbraio, in cui viene portato alla clinica Trusso, a Ottaviano, per sostituire il tubicino della Peg che è a rischio infezione. Sta di fatto che la sera del 17 febbraio il suo fisico, duramente e troppo provato, manifesta l’ennesimo problema: il paziente vomita sangue e viene quindi trasportato d’urgenza all’ospedale del Mare. I medici cercano di capire prima l’origine dell’emorragia interna e poi di bloccarla, ma alle 19.30 di sabato scorso non possono fare altro che comunicare alla sorella, che si trova al suo capezzale, che Enrico è spirato.

In seguito della comunicazione di prassi dell’ospedale, la procura di Napoli ha quindi aperto un fascicolo per omicidio colposo inquadrando il caso senza alcun dubbio come un infortunio mortale sul lavoro (la morte viene ricondotta dal magistrato “alle lesioni gravissime patite il 9 luglio 2020”), anche se il consulente medico legale incaricato dal pm, dato il consistente lasso di tempo trascorso, dovrà anche accertare se le cure mediche prestate alla vittima durante la sua lunga degenza siano state adeguate.

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