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Inchiesta Exodus: così spiavano cellulari e indagini

Quasi 900 intercettazioni illegali, circa 250 senza alcuna autorizzazione. Sono questi i numeri preoccupanti che emergono dall'inchiesta Exodus della Procura di Napoli. Violate le comunicazioni tra privati, ma anche quelle tra uffici pubblici e di molte procure italiane. L'aspetto preoccupante è che i numeri presenti nelle carte sono al ribasso e potrebbero essere solo la punta dell'iceberg. 

Il pericolo viene dall'interno. Infatti, al centro dell'indagine ci sono le società che gestiscono il sistema delle intercettazioni per conto delle procure. Questa mattina, sono state notificate due ordinanze di custodia cautelare, ai danni di Diego Fasano e Salvatore Ansani, rispettivamente amministratore e direttore delle infrastrutture della E-surv. Rigettata la richiesta di arresto per un terzo soggetto, Davide Matarrese, un dipendente di E-surv ritenuto responsabile della creazione di nuovi virus. Nell'ordinanza, Ansani è indicato come creatore e gestore della piattaforma Exodus, della quale si servono decine di uffici pubblici in tutto il Paese. 

I reati sarebbero di intercettazione abusiva, accesso abusivo a sistemi informatici e frode di pubbliche forniture. Al momento, non è chiaro il perché l'azione criminale sia stata portata avanti. I moventi potrebbero essere diversi: dal ricatto alla vendita di informazioni, passando per la crescita commerciale della società. Le indagini proseguono per capire se le persone "spiate" siano comuni cittadini o personaggi che siano rappresentativi di interessi economici. 

L'operazione, che aveva registrato un primo capitolo già a marzo, è stata portata avanti da un nucleo speciale composto da polizia, carabinieri e guardia di finanza, coordinati dalla task force per il cyber crime della Procura partenopea. Le intercettazioni cui fa riferimento l'indagine non è la classica intercettazione telefonica. Si tratta, invece, del controllo totale delle comunicazioni di un dispositivo, comprese chat, mail e comunicazioni criptate. Ciò è possibile grazie all'installazione di un "trojan", un virus che, una volta nel dispositivo permette di monitorare qualsiasi traffico. 

Al vaglio degli inquirenti anche il possibile coinvolgimento di funzionari pubblici. L'azione illegale ha comportato anche un rallentamento di diverse indagini in molte procure, compresa quella di Napoli.  

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