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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cronaca

Gigi D’Alessio: "Una vita pericolosa tra matrimoni e boss"

Intervista al Fatto Quotidiano: "Dal 92 al 96 facevo fino a 13 matrimoni al giorno". Su de Magistris: "Non credo sia interessato a incontrarmi". Berlusconi: "Un amico. Avrei suonato per lui anche mentre faceva il bidet"

Un'intervista lunga e dettagliata, ma soprattutto senza peli sulla lingua, quella che Gigi D’Alessio ha rilasciato al Fatto Quotidiano nella sua villa romana. A spiccare, tra l'arredamento, la maglia dell’Argentina ’86. “Me l’ha data Diego. A Napoli ci sono tre divinità: San Gennaro, Maradona e D’Alessio”. Un'intervista lunga cinque ore. Tocca varie corde, politica compresa e quel concerto che quasi un anno fa tenne a Piazza Plebiscito per Gianni Lettieri poi sconfitto da Luigi de Magistris. "Mio fratello Pietro aveva un tumore. La malattia che si è portata via i miei genitori. Mi è rimasta solo la sorella. Chiamai Berlusconi per avere i suoi medici. Era a un “G” non so cosa in Tunisia, mi aiutò in ogni modo. Poi, il mercoledì delle elezioni 2011, a mezzanotte mi telefona. Ero a casa con Anna (Tatangelo, ndr): ‘Gigi, sto nella merda’, aiutami’. Avrei suonato per lui anche mentre faceva il bidet. Un amico. Purtroppo Pietro, dopo un anno e mezzo di cure, è morto lo stesso”.

De Magistris? “Si vende bene, è simpatico, bravo e vero, ma ha fatto poco. Gli avrei regalato Sanremo se avessi vinto, ma non credo sia interessato a incontrarmi”. E poi: “Dal ‘92 al ’96 facevo fino a 13 matrimoni al giorno. A Napoli le donne si sposano per scegliersi il cantante. Per la comunione di mia figlia chiamai Dalla, per mio figlio vorrei Pazzini. Ho suonato anche per qualche boss. Come Carosone, Cocciante, D’Angelo. Spesso non mi pagavano: un bacio e via. Alla camorra ho regalato un mucchio di canzoni: ero obbligato".  Napoli è un microcosmo? “Novantanove volte su 100 finisci scugnizzo. Vengo dai quartieri popolari, cresciuto dalla nonna. Quando entravo in casa, battevo forte i piedi per far scappare i topi. E niente doccia. Scendevi per strada e ti fottevano la cartella. Poi la bicicletta. Poi il motorino. Alla quarta diventavi scugnizzo. Alla delinquenza ho preferito la musica: dieci anni di conservatorio”.

Mariano Apicella? “Quello bravo era il padre, il figlio lasciamo perdere. Da Costanzo dissi per scherzo che le canzoni a Berlusconi era meglio se le scrivevo io. Devo a un povero posteggiatore la scelta della carriera solista. Mi chiamò per la comunione della figlia, aveva 2 milioni e 500mila lire in pezzi da mille. Tutti i suoi risparmi. Mi vergognai e cantai gratis”.

Il riferimento all'ultimo Festival di Sanremo, precisamente alla cover di Mia Martini non cantanta benissimo. “La mia musica fa cacare? Okay. Vi invito a un concerto: venite quando tenete la colite, così vi stimolo. E ‘cantare male’ è soggettivo: Vasco emoziona, ma tecnicamente non è un granché”.

E poi: “Il neomelodico non esiste. E’ una parola usata da un giornalista che amava Nino D’Angelo: il melodico era lui, i neomelodici tutti gli altri. Dire che sono il principe dei neomelodici è come dire che sono il primo degli stronzi. Non ho niente in comune con chi dedica le canzoni ai boss". Infine: scrive solo d’amore. “Non so fare altro. La parola più forte che ho usato è “carcere”. Sono un cantautore napoletano, mi esprimo in due lingue: l’italiano è quasi una lingua straniera”.

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