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Il processo

A processo i genitori di Emanuele Sibilio: crearono l'altarino con il suo busto

I genitori del boss della “paranza dei bambini” devono rispondere di estorsione e violenza privata

Inizierà a settembre dinanzi al Tribunale Collegiale di Napoli, Settima Sezione Penale, il processo a carico di Vincenzo Sibilio e Anna Ingenito, genitori di Emanuele Sibillo, capo indiscusso dell'omonimo gruppo camorristico operante nel centro storico di Napoli ed ucciso nel luglio 2015. Così ha deciso il Gup del Tribunale di Napoli, Leda Rossetti, in accoglimento delle richieste dei sostituti procuratori della Dda, Urbano Mozzillo e Celestina Carrano. Ai coniugi Sibillo, difesi entrambi da Rolando Iorio, affiancato per quanto concerne Sibillo anche da Dario Carmine Procentese, viene contestata la commissione dei reati di estorsione e violenza privata, aggravati dal metodo mafioso, per aver agito approfittando delle condizioni di omertà, paura ed assoggettamento ingenerati nelle persone offese dalla loro nota appartenenza al clan "Sibillo".

In particolare i due imputati, in concorso con altre persone in via di identificazione, si sarebbero appropriati illecitamente di uno spazio condominiale realizzando su di esso un manufatto in alluminio nel quale collocavano, all'interno di una teca, l'urna cineraria di Emanuele Sibillo, capo indiscusso del clan Sibillo, consorteria criminale assurta agli onori della cronaca come la “paranza dei bambini” per la giovane età dei suoi appartenenti,  nonché un busto che lo raffigurava, oggi esposto al Museo Criminologico di Roma.

Il tutto costringendo i condomini ed i proprietari degli immobili a subire la spoliazione del diritto di comproprietà e di uso della precedente esistente cappella votiva. Secondo i pm della Dda, quindi, l'edicola, destinata al culto della figura di Emanuele Sibillo, veniva utilizzata quale elemento di identificazione e rafforzamento del gruppo criminale nonché quale luogo di commissione di reati.

L'edicola votiva in onore di Emanuele Sibillo era diventata, nel giro di pochi anni, un vero e proprio luogo di pellegrinaggio, non solo di soggetti più o meno contigui ai clan camorristici, che vi si recavano, secondo l'assunto accusatorio, per rendere omaggio alla memoria di E. S. 17, ma anche di giovani ragazzi, bambini delle vicine scuole, curiosi di ogni genere e sinanche turisti. L'altarino in onore di E.S. 17 era poi diventato il simbolo di tutte le edicole votive e di tutti i murales presenti in città, eretti e dipinti in ricordo di giovani, prematuramente scomparsi, che avevano avuto in vario modo problemi con la giustizia.

Non sono bastate in aula le serrate argomentazioni della difesa che ha chiesto con forza l'emissione di una sentenza di non luogo a procedere per i suoi assistiti, contestando la fondatezza delle accuse. Vincenzo Sibillo, detenuto per altro, era presente in video collegamento dal carcere di Lecce ove sta espiando una condanna a sette anni. Il processo inizierà il prossimo 27 settembre.

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