Elisabetta Grande e Maria Belmonte: "Fu duplice suicidio"
Madre e figlia furono trovate in una intercapedine della loro villa. Del delitto era stato accusato il marito e padre. Colpo di scena nella relazione consegnata dal perito Francesco Introna al pm Silvio Marco Guarriello
Doppio suicidio con l'assunzione di un potente farmaco che, se assunto in dosi massicce, può portare al coma o alla morte: è l'ipotesi formulata dal consulente della Procura di Santa Maria Capua Vetere (Caserta), Francesco Introna, che ha analizzato i resti di Elisabetta Grande e Maria Belmonte. I loro cadaveri, ridotti ad ossa, sono stati trovati il 13 novembre scorso dalla polizia in una villetta di Castel Volturno, adagiati in un vano dell'altezza di 60 centimetri nel quale erano rimasti nascosti per otto anni.
Il sostituto procuratore di Santa Maria Capua Vetere, Silvio Marco Guarriello, il prossimo 2 maggio chiederà chiarimenti al medico Domenico Belmonte (marito e padre delle vittime), e all'ex genero Salvatore Di Maiolo, sugli esiti della relazione di 360 pagine depositata dal suo consulente e sulle molte inconguenze, ancora non risolte, della vicenda. Belmonte fu arrestato e poi rimesso in libertà il 7 dicembre dopo 23 giorni di detenzione. L'anatomopatologo barese Francesco Introna, come emerso sin dai primi accertamenti, non ha trovato alcun segno di violenza sulle ossa né eventuali tracce di strangolamento o soffocamento alla base della mandibola, mentre sono state rinvenute tracce di un ansiolitico usato contro i disturbi del sonno, il Lormetazepam (conosciuto con il nome commerciale di Misian), che, se assunto in dosi massicce, può portare al coma e alla morte. Secondo Introna, le due donne si sarebbero suicidate adagiandosi nel piccolo vano, attendendo, dunque, la morte dopo aver ingerito il medicinale.