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Cronaca

Eduardo Scarpetta, una vita per il teatro

Padre del teatro dialettale moderno. Conferì al personaggio di Don Felice Sciosciammocca quelle caratteristiche che gli tributarono enorme successo. "Miseria e Nobiltà" la sua opera più importante

Edurdo Scarpetta è stato, senza dubbio, il più grande attore e autore napoletano tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento. Al suo indiscusso genio, il teatro partenopeo deve moltissimo.

A Scarpetta va il merito di aver creato il teatro dialettale moderno e fu persino regista cinematografico (agli albori della settima arte). Fu, inoltre il capostipite della dinastia teatrale degli Scarpetta-De Filippo.

Scarpetta (nato il 12 marzo 1853), appassionato di teatro fin da piccolissimo, entrò nel mondo delle rappresentazioni appena 14enne, quando fu scritturato dall'impresario Salvatore Mormone. Debuttò al teatro San Carlino nella commedia "Cuntiente e guaje", dove interpretava il ruolo di un fattorino che aveva due o tre battute. Quello fu solo l'inizio di una brillante carriera.  

Poco dopo, anche Antonio Petito (che inizialmente si era rifiutato di instradarlo al mestiere di attore) lo scritturò adattando su di lui il personaggio di Felice Sciosciammocca che affiancava Pulcinella nelle sue divertenti avventure.

Petito scrisse per Scarpetta alcune farse come "Feliciello mariuolo de 'na pizza" e "Felice Sciosciammocca creduto guaglione 'e n'anno". Don Felice Sciociammocca diventò personaggio famosissimo e fu proprio Eduardo Scarpetta a conferirgli quelle caratteristiche che negli anni gli tributarono tanto successo. Iniziarono anni di grandi soddisfazioni, in giro con tante famose compagnie teatrali.

Dopo alcuni anni dalla morte di Antonio Petito, Scarpetta, ventisettenne, decise di rilevare e rimettere a nuovo il San Carlino (teatro caduto nel frattempo in disgrazia) ottenendo un prestito di 5 mila lire dall'avvocato Francesco Severo. La riapertura della struttura avvenne nel settembre del 1880: un teatro rinnovato nell'aspetto e nel repertorio. Gli ingenui intrecci delle commedie non bastavano più per un pubblico diventato più esigente e Scarpetta iniziò a proporre testi dall'intelligente ironia, inventando, di fatto, un nuovo modo di fare ridere.

Iniziò così una stagione di grandi successi, che lo portano ben presto a diventare un idolo. Diventato ormai un capocomico di successo, nato da una famiglia modesta, potè acquistare un palazzo in Via Dei Mille, costruito dallo stesso architetto del Teatro Bellini, Vincenzo Salvietti, carrozze e cavalli.

Nel 1876 sposò Rosa De Filippo, dalla quale ebbe tre figli: Domenico, Maria e Vincenzo. Intrecciò, in seguito, una relazione con la nipote della moglie, Luisa De Filippo, dalla quale ebbe Eduardo, Peppino e Titina. I tre presero il cognome della madre.

"Miseria e nobiltà" fu la sua opera di maggiore successo. Il testo, in seguito, ebbe anche tre trasposizioni cinematografiche. Ma tra i tanti suoi grandi successi teatrali merita una citazione anche "'Na Santarella", in scena per la prima volta il 15 maggio 1889 al Teatro Sannazzaro di via Chiaia.

Scarpetta si fece costruire anche una villa sulla collina del Vomero, chiamata appunto Villa La Santarella, dove sulla facciata principale campeggiava la scritta «Qui rido io!» che qualche anno dopo vendette perché la moglie aveva paura di abitarci da sola quando il marito era in tournée.

Negli ultimi anni di attività arrivarono, però, anche le delusioni. La parodia de "La figlia di Iorio" di Gabriele d'Annunzio fu un cocente insuccesso e lo scrittore lo trascinò persino in tribunale per una memorabile causa durata tre anni, dal 1906 al 1908, che comunque Scarpetta vinse.

Morì all'età di 72 anni, e i suoi funerali furono molto imponenti: venne imbalsamato e deposto in una bara di cristallo. Le sue commedie vennero riprese molte volte e sono ancora oggi spesso in cartellone. Oltre al figlio Vincenzo, anche altri celebri attori napoletani come i fratelli Aldo e Carlo Giuffré recitarono le sue commedie brillanti. Sul grande schermo vennero ricavati diversi film dalle sue commedie, oltre a tre versioni del suo capolavoro, anche se la versione muta del 1914 è da considerarsi perduta.

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