Pomigliano d’arco, abbandono e rifiuti soffocano il polmone verde della provincia napoletana
La villa Comunale di Pomigliano d'Arco, fiore all'occhiello delle passate amministrazioni è oramai abbandonata all'incuria e al degrado. Dai motorini, alle cartacce la villa è lasciata a se stessa
E' tra i parchi pubblici più grandi della provincia di Napoli e l'opera simbolo delle passate amministrazioni di sinistra. La villa comunale di Pomigliano d'Arco, intitolata nel 2005 a Giovanni Paolo II, da mesi è abbandonata a se stessa. Vetri rotti, rivestimenti saltati, cavi elettrici scoperti e scritte ovunque. Un biglietto da visita per nulla attraente.
La struttura in vetro che si affaccia su via Passariello è interamente coperta da spray nero e rosso. I finestroni esterni che lasciano intravedere il verde dei giardini, sono stati più volte presi di mira dai lanciatori di sassi. Il Comune non li ha sostituiti, né ha portato via i cocci. E' tutto fermo lì, all'ingresso, quasi come un monito per il visitatore di turno. Intorno, nei 67mila metri quadrati di verde pubblico, sono disseminate cartacce, bottiglie, pacchetti di sigarette, fazzoletti sporchi e buste in plastica. C'è persino uno scooter che scorrazza indisturbato, a dispetto dei cartelli di divieto posizionati lungo il perimetro. "Non molto tempo fa sono stati sistemati i tornelli alle entrate - spiega un cittadino, Antonio Di Niro, che abita nei pressi della villa di Pomigliano - ma non sono sufficienti. Le biciclette spesso vengono introdotte a spalla, mentre le moto possono entrare dall'ingresso principale, privo di barriere perché lì dovranno essere costruiti i marciapiedi antiscivolo per i disabili. Ci vorrebbe più sorveglianza, personale fisso e, perché no, vigilantes incaricati di far rispettare le regole".
La villa comunale di Pomigliano d'Arco è stata realizzata in seguito a un lungo lavoro di bonifica dell'area su cui sorgeva la "Vasca Carmine". I giardini hanno preso il posto dell'invaso destinato alla raccolta delle acque piovane e di scolo. Un progetto ambizioso, premiato nel 2003 con la menzione nell'Archivio europeo degli spazi pubblici. "Il giorno dell'inaugurazione - sorride un uomo sulla cinquantina - ricordo che mi fu intimato di scendere dalla bici. Adesso puoi fare quello che ti pare, perché nessuno te ne verrà a chiedere conto". Gruppi di ragazzi giocano a calcio sulle aiuole e i cani, randagi e non, scorrazzano indisturbati privi di museruola. Irriconoscibile il gazebo rettangolare in legno, dove un tempo c'erano panchine, rampicanti e stand di ogni tipo. Gli spazi a sedere sono stati portati via, mentre le luci sono state sradicate in più punti e pendono dall'alto come piccoli scheletri coperti di ragnatele. "Faccio footing regolarmente - sottolinea Michele Rega - ho notato un degrado progressivo nell'ultimo anno. Prima potevo alternare la corsa con gli esercizi alla trave o alle panche, adesso questi attrezzi sono stati portati via".
Un odore nauseante, un misto tra spazzatura, urina e acqua sporca, avvolge la grande struttura in lamiere di metallo posta al centro del parco. Originariamente era tutta in plexiglass, ariosa e funzionale. Poi sono arrivati i vandali e i pannelli sono stati scheggiati, divelti e sradicati. La copertura è crollata e la scale, che un tempo portavano ai locali del piano inferiore, sono impraticabili. Un'inferriata, chiusa da un lucchetto, ne impedisce l'accesso. Anche il laghetto artificiale è coperto da melma e cartacce. Le oche e le anatre non ci sono più. Al loro posto un blocco in marmo che annaspa nella palude, relitto di quella che un tempo era una panchina.