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Omicidio Davide Sannino, dopo 26 anni sentenza mai notificata

Fu ucciso nel 1996 con un colpo di pistola dopo una rapina. I colpevoli, oltre al carcere, sono stati condannati anche a un risarcimento che non è mai stato pagato. I familiari: "Anni di pressioni e minacce. Siamo distrutti"

Davide Sannino è morto nel 1996. E' stato ucciso con un colpo di pistola alla fronte. Sono passati 26 anni e a Davide è stata intitolata anche una scuola di Ponticelli, ma la parola fine su questa dolorosa vicenda non è stata ancora scritta. Il processo penale si è concluso con la condanna a 30 anni per l'assassino e a 14 per i complici. Se la sentenza penale ha fatto il suo corso, non è stato così per quella civile. Il processo si è concluso nel 2015, con la condanna a un risarcimento complessivo di circa 500mila euro, soldi che non sono mai stati pagati perché la sentenza non è mai stata notificata ai colpevoli. "Il problema non sono i soldi, sono questi 24 anni di pressioni, minacce e incidenti che hanno sfaldato la nostra famiglia" raccontano i fratelli di Davide, Daniele e Jonathan.

L'omicidio

Era il 19 luglio del 1996, Davide aveva compiuto da una settimana 19 anni. Si è diplomato da poche ore ed è a Massa di Somma con gli amici per decidere come festeggiare. Nella piazzetta arrivarono quattro criminali. "Presero a botte tutti - racconta Jonathan - minacciarono con una pistola. Rubarono tutto quello che riuscirono a prendere, compreso un motorino di un amico di Davide. Prima di andare via, uno di loro scese dalla sella, puntò l'arma verso mio fratello e sparò un colpo alla testa. Davide andò in coma e morì dopo tre giorni. Da quel momento abbiamo smesso di vivere e abbiamo cominciato a sopravvivere". 

Il processo penale

Nel 1997 inizia il processo penale. "Vennero imputate e condannate quattro persone - ricorda Jonathan - Giorgio Reggio, colui che ha sparato, a trent'anni; i complici a quattordici anni". Con la sentenza cominciano anche i primi strani accadimenti. "L'avvocato degli imputati, per dissuaderci dal costiturci parte civile ci offrì 100 milioni di lire - spiega Daniele - a notificarcelo vennero due persone che si presentarono come ufficiali giudiziari. In seguito, scoprimmo che solo uno lo era, mentre la seconda persona era vicina ai colpevoli dell'omicidio. Abbiamo denunciato l'accaduto ma non c'è stato alcun seguito".

La famiglia rifiutò quella somma che però fu confermata dal Giudice come provvisionale, prima del processo civile: "La cosa strana è che quei soldi noi non li abbiamo mai avuti - spiega Jonathan - Da quanto ci risulta, il nostro avvocato non li ha mai riscossi. Ci diceva che non sapeva dove fossero depositati. Ma più avanti siamo venuti a sapere che era scritto sulle carte processuali. Erano in una filiale di Barra del Banco di Napoli". 

Il processo civile

Con il processo civile le stranezze aumentano. "Il procedimento iniziò nel 2005 - afferma Daniele - Dopo poco scomparve il fascicolo, cosa che allungò di molto i tempi. Fascicolo che, ci fu detto, fu ricostruito dall'avvocato della parte avversa. Un episodio che ci lasciò perplessi. Poco dopo, ho subito un furto nel mio appartamento e, oltre ai soldi, hanno rubato alcune carte processuali, tra cui la procura speciale che mi era stata affidata per seguire il caso in rappresentanza della famiglia". 

Ad un certo punto, arrivano anche le minacce di morte: "Gli episodi sono due - prosegue Daniele - Il primo risale al 2006, mi raggiunsero in negozio e mi intimarono di ritirare tutte le denunce e di smetterla. La seconda è recente, all'inizio del 2022, mentre cercavo un nuovo avvocato per far notificare la sentenza. Mi hanno tagliato la strada con uno scooter e mi hanno detto che se fossi andato avanti mi avrebbero dato fuoco. Ho denunciato tutto, spero che prima o poi la magistratura venga a capo di questi episodi". 

Il processo si concluderà nel 2015, e i colpevoli saranno condannati a risarcire alla famiglia Sannino una somma complessiva di circa 500mila euro. "Anche in questo caso alla nostra famiglia non è arrivato nulla - precisa Daniele - Il nostro avvocato ci ha sempre detto che era inutile notificare la sentenza ai colpevoli, essendo loro nullatenenti non avremmo ottenuto nulla. Stanchi di questi atteggiamenti, abbiamo deciso di revocare la nomina e di cercare un nuovo legale". La cosa strana, l'ennesima, è che nessun avvocato sembra voler subentrare per notificare questa sentenza a sette anni dalla sua pubblicazione. "Nel 2025 se non dovessimo riuscire a notificarla andrà in prescrizione e gli assassini di mio fratello non avranno pagato".  

Il problema non sono i soldi, non solo almeno. "Non possiamo dire che ci sia stata giustizia se una sentenza non viene rispettata - afferma Jonathan - loro sono stati condannati e devono pagare, altrimenti è come se il processo civile non si fosse mai tenuto". 

L'abbandono

Ventiquattro anni è un lasso di tempo che stroncherebbe qualsiasi resistenza. Eppure, la famiglia Sannino lotta ancora oggi. "A volte penso che esistano morti di serie A e morti di serie B - riflette Jonathan - Se qualcuno riconosce che a uccidere una persona sia stata la malavita organizzata lo Stato ti riconosce e ti aiuta. Se, invece, sei vittima di criminali comuni, come mio fratello, allora te la devi cavare da solo. La nostra è una famiglia numerosa e per tanti anni c'è stato solo lo stipendio di nostro padre. Abbiamo dovuto fare i salti mortali per sopravvivere mentre cercavamo di superare il dolore". 

Daniele lancia un appello: "Siamo stati abbandonati dalle istituzioni. Chiedo a coloro che ogni giorno combattono la criminalità in prima linea di aiutarci a concludere questo percorso che va avanti da troppo tempo. Abbiamo ricevuto troppe pressioni in questi anni e la nostra famiglia si è sfaldata. Abbiamo bisogno di un aiuto". 

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