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Medico morto di Covid, il ricordo di una collega: "I suoi sorrisi sono la sua storia"

L'ortopedico Cosimo Russo ha perso la vita un anno fa dopo essere risultato positivo al Covid

Cosimo Russo, stimato ortopedico del Cardarelli, è morto un anno fa dopo essere risultato positivo al Covid-19. Fatale un improvviso peggioramento delle attività respiratorie. Lucia de Rosa, anestesista-rianimatrice del Cardarelli, ha inviato a NapoliToday un ricordo in memoria del professionista scomparso il 23 novembre del 2020.

Il ricordo della collega del dottor Cosimo Russo 

"Chi conosce Cosimo sa che diceva spesso: “Ho letto tre libri nella mia vita, uno di questi è Il Piccolo Principe” e mentre lo diceva si apriva largo il sorriso sotto i baffi grigi come acqua limpida tra le petraie di un greto. I suoi sorrisi sono la sua storia. Si aprivano di stupore dinanzi alla bellezza, fremevano sottili nel gioco abile della parola, svirgolavano in alto per uno sfottò sincero ad un amico o un nemico, traboccavano di risa per il fragore in una barzelletta. Erano sorrisi a tratti lievi, appena pronunciati, colmi di una timidezza ben celata che la battuta esuberante e pronta distraeva alla facile attenzione. Diga e ponte, si univano in curva alla riga degli occhi profondi e scuri che vivaci come un furetto miravano all’altro al di là delle apparenze. Cosimo era amicale con tutti ma amico di pochi, amava la compagnia. Se vedevi un capannello di persone tra i viali dell’ospedale, era lui il tetto che riuniva tra le sue mura le personalità più varie per estrazione sociale ed altezza morale. Aveva il carisma della coesione, era leader ma non lo vedeva, la sua eredità di bambino non gliene aveva lasciato il senso. Amava la vita, la sbocconcellava tutta in tutte le sue parti; e tutta la gustava, la accoglieva, la scrutava, l'incuriosiva. Fascinante cantastorie, sapeva raccontare quella sua e degli altri. Nelle sue parole la vedevi scorrere come in un film, la trama poteva essere “Baarìa” di Tornatore come “Amici miei” di Monicelli. Non confidava il suo sé più intimo ma lo filtrava attraverso le sue doti attoriali, narrando i saggi “paraustielli” – eredità di nonno Ciccio – o recitando ovunque, come in un teatro, i versi di Viviani, le poesie di Pascoli, le barzellette spinte. Fischiava le canzoni di Dalla, le musiche di Paolo Conte, cantava i versi delle poesie di De Andrè, Modugno, senza mai dimenticare Ornella Vanoni. Cosimo è l'uomo dell' “et – et”, non dell' “aut – aut”. Appassionato di caccia, raccontava come da piccolo gli avevano regalato un piccolo ribotto e con esso finalmente l'appartenenza ai grandi della sua famiglia e del suo paese. Tra lune e lagune, germani e svassi, nella botte o nell'erba alta col fedele cane, con gli occhi in su, si sentiva libero. Uomo dell' “et – et” nutriva un amore sfrenato per la natura. Dava un nome a tutto: insetto, bacca, seme, rovo, frutto. Aveva una profonda conoscenza della tradizione rurale e una sapiente cura per alberi, piante, fiori. Si commuoveva nel vedere i pini ammalati e gli olivi capitozzati, nel saperli finire. Sapeva imitare i versi degli uccelli più vari, fischiarne il richiamo. Con millimetrica abilità e precisione, perfezionista nell'arte del legno, e non solo, costruiva ripari e ristori per i volatili: cajole, piccionaie, casette, trampoli, pollai, nidi. Ripeteva con orgoglio le parole del suo maestro di ortopedia e di vita, il dottor Colella: “Siamo falegnami imprestati alla medicina.” Artigiano dell'ortopedia, cesellatore della professione medica, ne coltivava e rifiniva ogni aspetto, umano e scientifico. Amava i suoi pazienti. Con loro diveniva presto uno di casa, immediato e preciso nella diagnosi e nella cura. Era felice in sala operatoria. Ogni seduta con lui assumeva un clima allegro, respirando leggerezza gli interventi più difficili nelle sue mani esperte apparivano semplici. Se vedeva qualcuno dell’equipe lavorare con faciloneria, carburando borbottava, timbrava rapido il passo e irruente si arrabbiava. Finita la seduta e la tensione, con torto o ragione, in una battuta o una scusa, si riconciliava. Soffriva nel lasciare le questioni in sospeso. Incapace di generare sentimenti tiepidi, lo si amava o lo si odiava. Era leggero e profondo, intuitivo e pragmatico, realista e visionario. E così certamente, come il piccolo principe, da quando se n'è andato, abita una stella, e di notte, se alziamo lo sguardo al cielo, lo sentiremo ridere per noi in tanti piccoli sonagli di stelle".

“Poiché abiterò su una stella, e lassù riderò, quando guarderai il cielo la notte, per te sarà come se tutte le stelle ridessero. Avrai tu delle stelle capaci di ridere.” E rise ancora. “E quando ti sarai consolato ( ci si consola sempre ), sarai contento di avermi conosciuto. Sarai sempre mio amico. Avrai voglia di ridere con me. E a volte aprirai la finestra, così per il piacere…E i tuoi amici si stupiranno di vederti ridere guardando il cielo. Allora spiegherai: “Sì, le stelle mi fanno sempre ridere! E ti crederanno pazzo. Ti avrò fatto un brutto scherzo…”. E rise ancora. “Sarà come se ti avessi regalato, al posto delle stelle, tanti piccoli sonagli capaci di ridere…”. (De Saint Exupery).

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