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Cronaca

Le mani della camorra sugli ospedali e gli appalti pilotati

L'Alleanza di Secondigliano controllava i nosocomi della Zona Ospedaliera. Coinvolti dirigenti amministrativi, sindacalisti e imprenditori

Un sistema che va avanti da decenni e che affonda le sue radici in organizzazioni criminali del passato. Partito con la Nuova famiglia degli anni '80 si è poi evoluto mettendo le mani sul più importante centro ospedaliero della città. Protagonisti i clan dell'Alleanza di Secondigliano capaci di mettere le mani su tutta la città e anche sui suoi ospedali storici. La Dda di Napoli ha scoperto un complesso sistema criminale che aveva ottenuto il controllo dei nosocomi della Zona Ospedaliera. Sono 46 le misure cautelari emesse dal Gip del tribunale di Napoli su richiesta della procura antimafia, a opera del procuratore capo Giovanni Melillo e dei sostituti Henry John Woodcock e Celeste Carrano. Trentasei le persone finite in carcere, altre dieci agli arresti domiciliari mentre ad altre due è stato imposto il divieto di dimora nella regione Campania.

Le parole dei pentiti a partire dagli anni '90

L'indagine affonda le sue radici in altri procedimenti eseguiti ai danni dell'Alleanza di Secondigliano e si basa anche su dichiarazioni di decine di pentiti risalenti anche agli anni '90 che raccontano tutti, in maniera concorde, di un sistema capace di controllare la vita economica degli ospedali cittadini. Non semplici estorsioni, ma un sistema complesso di spartizione di tutti gli appalti riguardanti i vari settori degli ospedali, a volte divisi addirittura per “facciate” di un singolo nosocomio in base alla competenza territoriale dei singoli gruppi. I padroni incontrastati di questo sistema sono i gruppi satelliti territoriali dell'Alleanza. Se per il San Giovanni Bosco un'altra indagine dell'Antimafia svelò il controllo criminale del gruppo Bosti-Contini, poiché insisteva sul Rione Amicizia, la nuova inchiesta dimostra che non si trattava di un caso isolato ma che il controllo si espandeva anche ai nosocomi della Zona Ospedaliera. Qui a controllarli sono i gruppi satellite dell'Alleanza al Vomero. Una storia che i pentiti hanno spiegato essere partita addirittura da uno dei fondatori della Nuova Famiglia, Giovanni Alfano, compagno di Gennaro Licciardi, e nella successiva evoluzione essere passata nelle mani di Antonio Caiazzo e Luigi Cimmino, e al figlio Franco Diego, e poi durante la sua detenzione nelle mani dei reggenti Andrea Basile e Giovanni Caruson.

Il controllo della Zona Ospedaliera 

Entrambi coinvolti nell'inchiesta sulla Sma, che la procura ritiene strettamente collegata a quella odierna, rappresentano la propaggine che controlla il Vomero per conto dell'Alleanza di Secondigliano e per competenza territoriale anche i nosocomi della Zona Ospedaliera. Il primo squarcio nel sistema criminale, che prevedeva il controllo di diversi appalti negli ospedali, è stato possibile grazie alla denuncia di un imprenditore che venne arrestato per corruzione in appalti per la gestione di servizi nell'ospedale Cotugno. Durante l'interrogatorio l'imprenditore ha spiegato agli investigatori di aver versato una tangente da 20mila euro a Basile. Da quel momento è partita l'indagine della Squadra mobile di Napoli, coordinata da Alfredo Fabbrocini, che con una serie di intercettazioni è riuscita a ricostruire l'esatto funzionamento di spartizione degli affari e i sottili equilibri all'interno dell'Alleanza. Un sistema complesso di regole e gerarchie criminali all'interno del quale è risultato chiaro che i Cimmino-Caiazzo raccogliessero soldi per i Licciardi seguendo comunque le regole interne al cartello criminale. Per esempio nel caso del Policlinico, tutti gli appalti che riguardavano lavori nell'area meridionale spettavano ai Lo Russo mentre l'ala settentrionale al gruppo del Vomero.

Erano talmente tanti gli interessi sugli ospedali del complesso che intervenivano una serie di clan sotto la sfera dell'Alleanza di Secondigliano provenienti anche dalla provincia di Napoli. In alcuni affari compaiono i Polverino di Marano, i Moccia di Afragola, i Veneruso di Volla o gli Abate di San Giorgio a Cremano. Così come altri clan di Napoli come i Frizziero, i Saltalamacchia o i Ferraiuolo che avevano interessi nella spartizione di posti di lavoro. Il tutto sotto l'egida dell'Alleanza ma in un sistema di equilibri complessi poiché da sempre il Vomero, a causa della pluralità di affari e interessi, non poteva essere gestito da un solo clan ma doveva essere curato seguendo una logica di sistema che accontentasse varie famiglie camorristiche.

Coinvolti imprenditori, sindacalisti e dirigenti amministrativi

Dal canto loro gli imprenditori impegnati negli appalti figurano a volte come persone offese dalle estorsioni subite, ma molto più spesso come soggetti capaci di fare affari avvantaggiandosi del fatto di rispondere ai clan. In particolare all'interno degli ospedali l'Alleanza riusciva a piazzare una serie di addetti che facevano da spie rispetto agli appalti in essere. Non mancano poi dirigenti amministrativi infedeli a cui la procura aveva chiesto anche l'applicazione dell'aggravante mafiosa ma che al momento il Gip ha respinto. La procura ritiene quest'inchiesta fondamentale anche per la ricostruzione che fornisce delle gerarchie criminali interne all'Alleanza di Secondigliano che controlla ormai il 90% della città lasciando un piccolo spazio ai Mazzarella. Per esempio risulta essere chiaro il ruolo subalterno del gruppo del Vomero. Un episodio fotografa al meglio questa gerarchia.

La gerarchia all'interno dell'Alleanza di Secondigliano 

Giovanni Caruson riceve la notizia che un affiliato al clan Lo Russo era pronto a pentirsi. Si reca alla Masseria Cardone, centro di comando dell'Alleanza, per portare la notizia. Viene fermato al primo check-point di controllo. Riferisce ciò che aveva da dire ma non gli viene permesso di avvicinarsi ai capi dell'organizzazione. Un emissario che viene dall'interno della masseria gli risponde semplicemente: “I capi hanno ricevuto la notizia, ti faremo sapere”. Così come gli viene fatto capire senza mezzi termini, in occasione di una visita di cortesia al marito di Maria Licciardi, di dover rimanere al suo posto perché lui era del Vomero e non di Secondigliano. Una divisione ferrea dei ruoli che serve a stabilire i confini entro i quali possono muoversi le famiglie satellite dell'Alleanza sul territorio ribadendo l'egemonia criminale del cartello. Lavorare per gli interessi criminali dell'intera alleanza e non per quelli particolari delle singole famiglie è l'unica strada per sopravvivere.

Il controllo completo degli appalti 

In cambio, all'interno degli ospedali, il cartello criminale garantiva posti di lavoro per gli affiliati e trattamenti di favore in caso di accesso alle cure. Il tutto grazie al controllo di tutti gli affari che ruotano intorno ai servizi esterni. Le gare venivano seguite in diretta dalle famiglie dell'alleanza interessate grazie all'“interessamento” di pubblici ufficiali infedeli ma anche di sindacalisti. Il risultato erano appalti pilotati o posti di lavoro nelle aziende titolari di alcuni servizi. Così l'Antimafia è riuscita ricostruire, per esempio, il ruolo nella gestione delle ambulanze da parte dell'associazione “Croce San Pio” di Marco Salvati oppure gli appalti per la fornitura di cibo negli ospedali a opera di Giuseppe e Raffaele Sacco, accusando tutti gli attori di concorso esterno in associazione mafiosa. Così come sono stati scoperti tre affiliati al clan Caiazzo-Cimmino impiegati nella Romeo, ereditati dalla ditta precedente per l'obbligo di assumere durante il “passaggio di cantiere”, e addetti alle pulizie. Non mancavano altri tipi di appalti di cui il sistema riusciva a truccare le gare d'appalto. Un sistema che agiva da anni alla luce del sole come eredità di un controllo degli ospedali che ormai dura da decenni.

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