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Cronaca

Comune di Napoli: in sette anni perso il 60% dei dipendenti

Persi oltre 1600 dipendenti negli ultimi anni. La città in fondo alla classifica per numero di dipendenti per abitanti

Nell'arco di 10 anni, tra il 2009 e il 2019, la pubblica amministrazione italiana ha perso 132.159 unità di personale. A pagare il prezzo più alto sono stati Comuni, Province e Regioni che hanno visto il loro organico impoverirsi progressivamente a colpi di spending review, blocco del turn-over e vincoli assunzionali che hanno portato a un saldo negativo di 90.352 persone. Anche il comparto sanità non è uscito indenne dalla scure del contenimento della spesa pubblica, perdendo - nell'arco dello stesso decennio - un totale di 44.083 dipendenti e passando dai 693.600 addetti del 2009 ai 649.517 del 2019. Sono alcuni dei numeri che emergono dalle elaborazioni per l'Adnkronos del Centro Studi Enti Locali basate su dati Istat e Ministero dell'Economia e delle Finanze, che delineano lo scenario nel quale si collocano le misure recentemente varate dal Governo al fine di reclutare, in tempi rapidissimi, migliaia di dipendenti pubblici altamente qualificati che mettano in condizione i nostri enti pubblici di affrontare la sfida, tutt'altro che scontata, dell'attuazione del "Piano nazionale di ripresa e resilienza". Il Ministro per la Pubblica Amministrazione Renato Brunetta ha evidenziato più volte, una su tutte la prima audizione parlamentare relativa alla bozza del Pnrr tenutasi lo scorso marzo a Palazzo Madama, che a preoccupare, oltre alla riduzione in termini assoluti del numero di uomini e donne che servono lo Stato in tutte le sue articolazioni, è anche il progressivo innalzamento della loro età. Le circa 3,2 milioni di persone che lavorano nelle nostre amministrazioni centrali e locali, nei nostri distretti sanitari, nelle forze dell'ordine, nelle scuole e nel settore giustizia, hanno mediamente 50,7 anni, sottolinea Csel. La quota degli under 30 è praticamente inesistente (2,9%), mentre quasi il 17% dei dipendenti pubblici ha superato i 60 anni.

In Regioni, Comuni e Province va ancora peggio: gli uomini occupati nei nostri enti territoriali hanno mediamente 53,81 anni (contro i 49,6 del 2009); le donne hanno mediamente 51,81 anni (contro i 47,1 del 2009). Dipendenti pubblici, quindi, che calano in numero e "invecchiano" rivelandosi sempre meno in grado di parlare l'imprescindibile lingua della digitalizzazione senza la quale è inimmaginabile una ripartenza nei termini immaginati dal "Next generation Eu". Tra le molte ragioni che hanno portato a questa emorragia di dipendenti pubblici ci sono i vincoli di spesa introdotti da una serie di norme che si sono stratificate negli anni fino a disegnare una ragnatela legislativa nella quale non è affatto semplice districarsi. Qualche esempio? Adozione del "Piano triennale dei fabbisogni del personale" redatto nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica; rimodulazione della dotazione espressa in termini di potenziale limite finanziario massimo, approvazione del "Piano triennale di azioni positive in materia di pari opportunità", adozione del "Piano della performance", obbligo di certificazione o diniego non motivato di certificazione, di un credito anche parziale verso la pubblica amministrazione; verifica dell'impossibilità di ricollocare il personale in disponibilità iscritto nell'apposito elenco: sono solo alcune delle condizioni in assenza dei quali negli anni i comuni non hanno potuto assumere nuovo personale. Vincoli su vincoli che hanno reso la strada verso le assunzioni negli enti locali italiani sempre più accidentata. A queste difficoltà si sono sommati fattori come il lungo blocco del turn over che ha imbrigliato la possibilità di rimpiazzare chi usciva dagli enti pubblici, "Quota 100" che ha promosso il pensionamento anticipato di molti lavoratori, anche del mondo pubblico, e la lentezza dei concorsi pubblici. Un punto, quest'ultimo, che l'Esecutivo ha subito cercato di affrontare attraverso le recenti riforme che creano i presupposti per incamerare circa 25mila persone a tempo determinato. L'urgenza che deriva dal serratissimo cronoprogramma imposto da Bruxelles non sembra, infatti, compatibile con un contesto come il nostro nel quale, dall'emersione del bisogno di assumere una persona all'effettiva presa di servizio del vincitore del relativo concorso, passano mediamente 4 anni.

Se già la situazione è complessa in generale, per gli enti strutturalmente deficitari o in dissesto, gli ostacoli verso le assunzioni, sottolinea il Centro studi, sono quasi insormontabili. Una situazione denunciata a più riprese, ad esempio, dal Sindaco di Napoli De Magistris, che ha spesso evidenziato come, nell'arco dei suoi due mandati alla guida della città, il personale in forze al municipio partenopeo si sia ridotto del 60% e come "quelli che dovrebbero correre più veloci, vengano messi in condizione di non poter correre". In effetti, se si getta uno sguardo alla dotazione organica delle principali città italiane, salta agli occhi come il Comune di Napoli abbia perso - nel solo triennio 2017-2019 - ben 1.654 persone, arrivando a una media di 6 dipendenti comunali ogni 1000 abitanti, contro gli oltre 10 di Firenze (10,8), Venezia (10,2), Milano (10,1), Bologna (10,1) e Palermo (10). Seguono Torino, con 9,9 dipendenti ogni 1000 abitanti, Genova (8,6), Roma (8,34), Catania (8,2),, Cagliari (8), la già citata Napoli (6) e Bari (5,5). Chiudono il cerchio Messina (5,4) e Reggio Calabria (4,49). In termini assoluti, l'esercito di dipendenti più nutrito è quello capitolino: sebbene dal 2017 al 2019, abbia perso 340 persone, nel 2019 (ultimi dati disponibili) c'erano comunque 23.541 persone alle dipendenze del Campidoglio. Segue Milano, con 14.230 persone, e Torino con 8.526. La classifica regionale Allargando il campo d'analisi all'area regionale, vediamo che ci sono notevoli scarti tra i vari territori della Penisola. Con riferimento a tutta la pubblica amministrazione nel suo complesso, i due estremi sono rappresentati dalla Valle d'Aosta, con 94,4 dipendenti ogni 1000 abitanti e la Lombardia che ne conta solo 41,35. In mezzo: la Provincia autonoma di Bolzano (79), quella di Trento (75,2), il Friuli Venezia Giulia (69,3), il Lazio (69), la Sardegna (67,6), la Liguria (62,8), il Molise (60,2), la Calabria (59), la Basilicata (58,6), la Toscana (57,7), l'Umbria (57,6), la Sicilia (56,7), l'Abruzzo (54,9), le Marche (54,7), la Puglia (52,3), l'Emilia Romagna (52,1), il Piemonte (50,5), la Campania (48,8) e il Veneto (41,2). Per quanto riguarda invece i soli dipendenti di Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni, la Regione che ne ha di più in termini assoluti è la Lombardia (61.445). Seguono Sicilia (55.602) e Lazio (44.144). Se rapportiamo questi numeri alla popolazione però, la classifica cambia completamente e troviamo di nuovo in vetta le Regioni a statuto speciale del Nord Italia.

Nello specifico, è il Trentino Alto Adige la regione italiana con il più alto numero di dipendenti del comparto funzioni locali, in proporzione alla popolazione: 48 ogni mille abitanti. Seguono, a notevole distanza: la Valle d'Aosta con 39,2, la Sicilia con 11,4, il Friuli Venezia Giulia con 11, la Sardegna con 10.3, la Calabria con 9,37 e la Liguria con 9,29. A metà classifica, in linea con la media nazionale di 8,23 dipendenti ogni mille abitanti, troviamo: Umbria (8,82), Emilia Romagna (8,70), Basilicata (8,4), Toscana (8,3) e Marche (8,1). Al di sotto della media, le dotazioni organiche delle amministrazioni locali piemontesi (7,78), laziali (7,6), molisane (7,74), abruzzesi (6,3), lombarde (6,1) e campane (5,7). Fanalino di coda la Puglia, che ha solo 4,8 dipendenti ogni mille abitanti, un decimo rispetto al Trentino. Non molto distante dal quadro sopra descritto, la situazione relativa al comparto sanità. Anche in questo caso, il rapporto tra numero di dipendenti e popolazione residente (al 31 dicembre 2019, data dell'ultima rilevazione Mef in base alla quale sono stati elaborati i dati oggetto di questo dossier) in assoluto più elevato è, nell'ordine, in Valle d'Aosta (17,7), Provincia autonoma di Bolzano (17) e Friuli Venezia Giulia (16,2). Seguono: Liguria (15,3), Toscana (13,8), Emilia Romagna (13,7), Sardegna (13,3), Piemonte (12,9), Marche (12,8), Umbria (12,9), Basilicata (12,5), Veneto (12,1) e Abruzzo (10,9). Al di sotto della media nazionale, pari a 10,7 dipendenti del comparto sanitario ogni mille abitanti, si collocano: Lombardia (10,1), Molise (9,9), Calabria (9,7), Puglia (9,3), Sicilia (8,8), Lazio (7,5) e Campania (7,3).

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