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Cronaca Chiaiano / Via Tirone

Minacce al Fondo confiscato: "Non possono seppellirci tutti, noi siamo molti di più"

Fosse e croci alla Selva Lacandona di Chiaiano, gestita dalla Coop. (R)esistenza. Il presidente Corona "Di fronte a quelle tombe scavate per noi, la consapevolezza che siamo tanti e non siamo soli". Solidarietà arriva da gruppi e associazioni

Fosse e croci al Fondo Rustico confiscato di Chiaiano, dedicato ad Amato Lamberti, minacce a chi in questi mesi ha trasformato un bene appartenuto alla malavita organizzata in 14 ettari di pescheti e vigneti 'della legalità'. La cooperativa (R)esistenza, da quando ha ottenuto la gestione della Selva Lacandona, ha creato qualcosa di straordinario, con momenti d'incontro che hanno avvicinato centinaia di cittadini (un migliaio solo tra la Pasquetta e il 25 aprile).
Si lavora alacremente al fondo, si coltivano piante e valori. Si coltivano speranze per il futuro di questo territorio.

E mentre arrivano attestati di solidarietà da ogni dove, sulla sua pagina di facebook, il presidente di (R)esistenza, Ciro Corona, racconta i i fatti di giovedì, ma lo fa in modo molto particolare, rivivendo in poche parole, come in un pensiero fugace, quell'attimo in cui ci si trova di fronte alle proprie paure e bisgona affrontarle. E poi arriva la consapevolezza che 'le idee sono a prova di tombe' e non c'è fossa abbastanza grande da contenere tutti quelli che si sono stretti intorno a questo progetto, che ridà vita e dignità alla nostra terra.

Questa la storia del Fondo e della scoperta delle fosse di Ciro Corona:

"Corri! Corri! Salta dietro! Prendi una pala e salta!" .

La moto sfrecciava per la salita di Via Tirone, il vento mi accarezzava il volto e l’odore dell’erba appena tagliata mi entrava su per le narici rigenerando il mio corpo. "Deve essere proprio questo il profumo della libertà" pensavo. Mentre cominciava a raccontare, le parole si disperdevano nell’aria fondendosi col vento. Non capivo nulla, l’unico istinto fu quello di saltare dietro e correre per non so dove.

La moto si fermò.

"Scendi".

Il passaggio dal senso di vita a quello di morte fu segnato da tre semplici immagini. Il battito del cuore rallentò, l’aria lacerava narici e polmoni ad ogni respiro. Fare anche piccoli passi era impossibile.  A pochi metri dall’ingresso del vigneto due enormi fosse scavate nel terreno dilaniavano i nostri pensieri. Pochi attimi e tutto era cambiato. L’inevitabilità arriva quando meno te l’aspetti. Non riuscivo ad avvicinarmi alle buche. Ritornavano alle mente i momenti più belli, le vittorie, i giochi di squadra, i volti, le mani che si stringono e le zappe alzate al cielo pronte a rivoltare quella che una volta era terra di camorra. Le fosse erano due, profonde più di un metro e mezzo, larghe altrettanto. Le avevano fatte per noi, ce le avevano consegnate per ricordarci che siamo il nulla mischiato col niente, polvere per loro, da far fuori in ogni istante senza il minimo sforzo. E senza la minima preoccupazione avevano scavato di notte, con torce, pale, zappe e una dozzina di bottiglie d’acqua lasciate sul fosso. Indisturbati, sicuri, tranquilli. Proprio come quando si è a casa propria. Chiusi gli occhi per qualche istante e le immagini che mi venivano in mente erano principalmente due. I volti di Antonio che mi chiedeva lavoro nascondendolo al papà e di Enzo che mi chiede di lavorare sul bene confiscato perché non vuole più fare "tarantelle" e l’immagine della pasquetta, dove 500 persone danzavano e festeggiavano su quei terreni. Quando aprii gli occhi capii che non era un sogno, ero li, a Chiaiano di fronte alle tombe scavate per noi. Tirai un sospiro inumidito di sangue, "non possono sotterrarci tutti, noi siamo molti di più".

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