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Cronaca

L'appello di Sepe ai politici: "Fate presto, di povertà si muore"

L'appello dell'arcivescovo di Napoli in un articolo sul settimanale diocesano "Nuova Stagione". "C'é troppa gente che vive nella miseria. C'é gente che muore a causa di una povertà imposta"

"Fate presto!" perché "di povertà si muore". L'appello "a quanti" più di lui "hanno responsabilità politiche e di governo" giunge dal cardinale Crescenzio Sepe.

L'ALLARME - L'arcivescovo di Napoli ha scelto il settimanale diocesano 'Nuova Stagione' per lanciare un drammatico appello in un contesto nel quale di fronte al dramma della povertà "non reggono anche gli istituti religiosi e le Caritas parrocchiali sono allo stremo". Parole chiare, e pesanti, quelle del presule che compie un' analisi della situazione legata alla povertà che non lascia molto spazio a interpretazioni di sorta: "C'é troppa gente che vive nella miseria. C'é gente che muore a causa di una povertà imposta. Al di là dei limiti e dei vincoli, che pure vanno rispettati, vi prego, trovate soluzioni rapide, fate presto" scrive il cardinale Sepe. E aggiunge, descrivendo una situazione complicata anche per chi è impegnato a dare una mano: "Sono tantissimi e sempre di più quelli che ogni giorno bussano alle porte delle nostre parrocchie e dei nostri conventi. Non basta l'ascolto, la parola di incoraggiamento e di conforto. L'invito alla speranza è poco incisivo e non viene raccolto perché ci sono risposte urgenti da dare in famiglia". Questo perché per tanti non c'é alcun reddito, benché minimo: "Manca il sostentamento, mancano i soldi per pagare la pigione ed i servizi essenziali. Mancano il latte e le medicine" e anche la tutela della salute è un lusso". Le conseguenze si hanno sui soggetti più deboli come bambini, giovani, anziani.

CHE COSA FARE? - "Come Chiesa cerchiamo di testimoniare solidarietà. Ma le parole da sole non bastano. Attiviamo le mense, diamo aiuti per quanto possibile" ma sono ko anche gli istituti religiosi e le Caritas parrocchiali "sono allo stremo". E, dunque, "anche noi, come i primi Apostoli, siamo costretti a dire 'Signore, dove possiamo comprare il pane?' - afferma il cardinale - Risuona, oggi più che mai, l'angosciante interrogativo che lanciai, pubblicamente, a Pasqua del 2009 con una Lettera Pastorale". "Può un padre - dicevo nella Lettera - tapparsi le orecchie o rispondere di andare altrove a procurarsi da mangiare? Può un Vescovo o un sacerdote, testimone di Cristo, rimanere indifferente a quanti chiedono aiuto e compassione?". Oggi di povertà si muore e non per mancanza di nutrimento, "ma per vergogna, per pudore, per la difesa della dignità personale, perché non si ha come pagare i debiti o le tasse, perché non si ha nulla da offrire e da dire a moglie o marito e figli. Siamo alla esasperazione". Occorre far presto, dunque, perché esiste "non un semplice malessere", ma una situazione di "grave pericolo, l'esistenza di una vera e propria malattia sociale".

I NUMERI - "Oltre tre milioni i licenziati; circa quattromila le imprese che hanno interrotto la propria attività; si profilano tempi difficili per i cassintegrati per la cui indennita al momento non ci sono fondi; potrebbe essere alle porte l'attivazione della cassa integrazione per tanti altri. Intanto, c'é il dato allarmante della disoccupazione storica, accentuata e aggravata da schiere di giovani che non riescono ad inserirsi nel mondo del lavoro", conclude Sepe. (Ansa)

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