rotate-mobile
Cronaca San giuseppe vesuviano

Ascesa e declino del clan Batti: smantellata la nuova temuta famiglia criminale vesuviana

Undici ordinanze di custodia cautelare emesse da Carabinieri e Guardia di Finanza: nel mirino sono finiti i vertici del clan, indagati per associazione a delinquere di tipo mafioso, traffico e spaccio. Sequestri per 11 milioni

In data odierna i Carabinieri del Nucleo Investigativo di Torre Annunziata e i Finanzieri del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria di Salerno hanno eseguito due ordinanze di custodia cautelare emesse nell’ambito del medesimo procedimento dal GIP del Tribunale di Napoli su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia nei confronti di 11 soggetti (nei confronti di nove dei quali il Gip ha disposto la custodia cautelare in carcere, gli altri due disponendone gli arresti domiciliari) ritenuti promotori o affiliati o agevolatori di una nuova associazione mafiosa armata, il cosiddetto clan Batti, operante nei comuni di San Giuseppe Vesuviano, Terzigno e zone limitrofe

Gli 11 soggetti risultano indagati, a vario titolo, per i reati di associazione a delinquere di stampo mafioso, traffico e spaccio di sostanze stupefacenti, detenzione illegale di arma da fuoco, estorsione e violenza privata, aggravate dal metodo mafioso e dallo scopo di favorire il clan Batti.

La prima ordinanza di custodia cautelare trae origine da un’attività di indagine svolta tra la fine del 2013 e la fine del 2014 dal Nucleo Investigativo di Torre Annunziata e focalizzata sull’esistenza e operatività del nuovo clan, dedito, prevalentemente, al commercio di stupefacenti (cocaina, marijuana ed hashish) e strutturato intorno alla famiglia Batti, in particolare ai fratelli Batti Alfredo, Luigi e Alan Cristian, detti “i milanesi”. 

Le attività di indagine hanno preso spunto dai tentati omicidi di Luigi Avino (avvenuto a Terzigno il 28.04.2013) e di Mario Nunzio Fabbrocini (avvenuto a San Giuseppe Vesuviano il 27.09.2013), in un’area tradizionalmente controllata dal clan Fabbrocino, inducendo a ritenere che fosse in atto una fase di alterazione degli equilibri criminali su quel territorio. In merito, le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia avevano rivelato che già nel 2008 il nuovo clan era autorizzato dai Fabbrocino a spacciare stupefacenti a San Giuseppe Vesuviano, dietro versamento di una quota di proventi allo stesso clan Fabbrocino. L’avvio delle indagini ha rivelato che la nuova compagine criminale si era nel frattempo affrancata dall’obbligo di versare una quota dei proventi delle attività di spaccio, acquisendo autonomi spazi di operatività.

Nel corso delle indagini è emerso come il clan si imponesse sul territorio attraverso azioni punitive e ritorsive nei confronti di terzi entrati in contrasto per il mancato pagamento delle forniture o per sconfinamenti territoriali. Il contrasto alle forze dell’ordine era attuato attraverso il monitoraggio del territorio (così da scongiurarne l’eventuale intervento), l’utilizzo di canali di comunicazione dedicati (i cosiddetti “telefoni della fatica”), la realizzazione di appositi locali ove nascondere armi e stupefacenti accessibili soltanto attraverso apposita strumentazione, la dotazione di un vasto parco di autovetture utilizzate in via esclusiva per gli affari illeciti ed il continuo cambio di utenze degli indagati, per lo più intestate a stranieri o a terzi estranei ai fatti o a nomi di fantasia.

Le attività di indagine hanno consentito di individuare in Alfredo Batti il capo indiscusso dell’associazione, mentre i fratelli Luigi e Alan Cristian, ai quali era stato demandato il controllo delle attività di spaccio in Ottaviano e San Giuseppe Vesuviano, svolgevano una funzione di raccordo tra lo stesso capo del clan e gli altri. 

Contestualmente all’esecuzione delle citate misure cautelari i Carabinieri del Nucleo Investigativo di Torre Annunziata hanno provveduto - nelle provincie di Napoli, Roma ed a Montesarchio (BN) - all’esecuzione di specifico decreto di sequestro preventivo d’urgenza, emesso dalla Procura della Repubblica di Napoli – DDA, relativo a beni mobili, immobili, società e rapporti finanziari per un valore complessivo pari 7 milioni e 500mila euro. In particolare sono state sequestrate: 5 società (una ditta di facchinaggio, 3 rivendite di autoveicoli, 1 cartoleria) per un valore pari a 6 milioni di euro, un immobile per 700mila euro, 4 quote di terreni pari a 300mila euro, 2 vigneti per 200mila euro, 2 motocicli e 3 automobili per 150mila euro, rapporti finanziari per 150mila euro. 

Ad alcuni soggetti destinatari del provvedimento di sequestro preventivo, benché non colpiti da provvedimenti cautelari personali, è stata riconosciuta la gravità indiziaria per i reati contestati, poiché ritenuti interni all’organizzazione criminale. L’analisi della capacità reddituale dei singoli indagati e dei propri nuclei familiari presentava una evidente sperequazione tra il valore dei beni acquistati ed i redditi dichiarati, frutto del reimpiego degli illeciti profitti scaturiti dalle molteplici attività delittuose. 

In tale contesto è stato dimostrato come nelle operazioni di approvvigionamento illecite siano stati coinvolti finanche operatori portuali di Salerno, incaricati dal gruppo camorristico nel gennaio 2015 di agevolare l’uscita da quel porto di un container frigo proveniente dall’Ecuador con un carico di banane, che però celava all’interno del vano motore un grosso carico di stupefacente. In quell’occasione due dipendenti di una società di spedizione non sono riusciti a recuperare la sostanza stupefacente a causa di inaspettate complicazioni burocratiche e il container, svuotato delle sole banane, è stato reimbarcato su una nave diretta a Rotterdam. Una volta giunta nel porto olandese, la nave veniva sottoposta a perquisizione grazie ad apposita segnalazione dei Finanzieri del GICO di Salerno, consentendo così di rinvenire e sottoporre a sequestro, ancora occultati nel vano motore, 40 chili di cocaina per un valore stimato di circa 1 milione e 200mila euro. 

La perdita dell’ingente carico generava la reazione adirata di Alfredo Batti, che pretendeva di essere risarcito da tutti i soggetti ritenuti responsabili del mancato recupero della sostanza stupefacente. Le successive pressioni e minacce costringevano uno degli indagati a vendere la propria abitazione per consegnare al capo dell’organizzazione il denaro perso. Un ulteriore sequestro di droga è stato effettuato nel mese di maggio 2015 in provincia di Padova, allorquando le Fiamme gialle padovane intercettavano 40 chili di marijuana occultati in un autoarticolato proveniente dalla Spagna, arrestando due soggetti in flagranza di reato.

Oltre al traffico di sostanze stupefacenti, l’organizzazione ha posto in essere anche numerosi tentativi di contrabbando di sigarette provenienti dal Nord Africa coinvolgendo ulteriori soggetti in tutto il territorio nazionale, per i quali si è proceduto separatamente.

L’attività investigativa, durata quasi due anni, è stata sviluppata non senza difficoltà, dovute anche ai continui accorgimenti e alle precauzioni adottate dagli indagati: incontri de visu in aree ad alta densità criminale, frequenti cambi di utenze telefoniche (intestate a nominativi di fantasia) e di apparecchi cellulari, utilizzo di un linguaggio estremamente criptico sono alcuni degli ostacoli che gli investigatori hanno dovuto superare per ricostruite le dinamiche delle trattative poste in essere dal sodalizio.

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Ascesa e declino del clan Batti: smantellata la nuova temuta famiglia criminale vesuviana

NapoliToday è in caricamento