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Cronaca

Maxi frode da 30 milioni, arrestati due imprenditori napoletani

Gli investigatori ritengono di aver individuato un'associazione dedita all'emissione e all'utilizzo di fatture per operazioni inesistenti

Due imprenditori della provincia di Napoli sono stati posti ai domiciliari a conclusione di una indagine su 29 tra ditte individuali e società operanti in diversi regioni del territorio nazionale. Sarebbero coinvolti, a vario titolo, in una maxi frode fiscale nel settore dei metalli ferrosi. È stato disposto anche il sequestro preventivo dei beni e delle disponibilità finanziare in capo agli indagati per un valore corrispondente a 30 milioni di euro, la cui esecuzione in varie regioni italiane ha richiesto l'impiego di 70 finanzieri.

Gli investigatori ritengono di aver individuato un'associazione dedita all'emissione e all'utilizzo di fatture per operazioni inesistenti che, in soli cinque anni, sarebbe riuscita a realizzare un giro d'affari illecito di oltre 30 milioni.

L'operazione, denominata "Golden Metal", ha avuto origine nel 2018, a seguito di un controllo fiscale effettuato dai finanzieri nei confronti di una società con sede in Pontelatone, nel casertano, e attiva nel commercio all'ingrosso di metalli ferrosi, nel cui ambito si era potuto accertare per gli investigatori che la stessa fungeva da vera e propria "cartiera" a disposizione dell'intera organizzazione, attestando falsamente la vendita di grossi quantitativi di merce a favore di numerose aziende compiacenti.

Grazie a intercettazioni telefoniche e ad approfonditi accertamenti economico-finanziari è stato possibile accertare come – secondo la guardia di finanza – i titolari di queste aziende fossero consapevoli della falsità delle operazioni commerciali documentate nelle fatture emesse dalla società casertana, il cui utilizzo serviva unicamente a frodare il fisco attraverso la contabilizzazione di costi in realtà mai sostenuti.

In particolare, le aziende destinatarie avrebbero pagato regolarmente i relativi corrispettivi mediante bonifici bancari diretti alla società "cartiera" la quale, una volta ricevute le somme sui propri conti correnti, le avrebbe prelevate in contanti e, dopo aver trattenuto una percentuale a titolo di compenso per il "servizio" reso (tra il 4 e il 10% dell'importo indicato in fattura), avrebbe trasferito la restante parte agli imprenditori dei bonifici iniziali.

Attraverso tale sistema fraudolento – questa l'ipotesi dei magistrati – le società beneficiarie hanno potuto usufruire di ingenti risparmi d'imposta derivanti dalla contabilizzazione di costi fittizi per oltre 30 milioni di euro nonché della relativa Iva a credito per oltre 16,5 milioni di euro, così realizzando proventi illeciti da evasione fiscale.

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