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Cronaca

Covid-19, il Prof. Giordano: “Risultati promettenti per un vaccino-cerotto"

"Questo lavoro di ricerca ha un potenziale enorme, anche perché il gruppo di scienziati della University of Pittsburgh che sta conducendo lo studio, ha già ottenuto importanti risultati sperimentati contro la Sars”. L’intervista al direttore dello Sbarro Institute di Philadelphia

- Sono quasi 10 mila gli operatori sanitari contagiati in Italia, e tra i medici si contano 69 deceduti a causa del Covid-19. Come commenta questi dati?

“Chi oggi lavora negli ospedali e in tutte le strutture sanitarie sta facendo molto ed al meglio delle proprie capacità. E, data la carenza dei dispositivi di protezione individuali, con un impegno e con uno stress maggiore del solito. E’ ovvio che e tutti i lavoratori dovrebbero essere garantiti sufficienti e adeguati dispositivi di protezione individuale”.

- L’Aifa ha approvato in tempi record un protocollo e autorizzato la sperimentazione del Tocilizumab. Il farmaco anti-artrite sta avendo ottimi risultati sui pazienti covid con polmonite interstiziale. Anche negli USA si stanno sperimentando farmaci anti-covid?

“Il Tocilizumab sta dando buoni risultati nel migliorare i parametri di funzionalità polmonare. Si tratta di un agente farmacologico (già noto nel trattamento delle complicazioni polmonari dell’artrite reumatoide giovanile, della colite ulcerosa e di gravi polmoniti su base immune associate a farmaci o agenti virali) che neutralizza l'interleuchina 6, la proteina principale vettore dell'infiammazione polmonare prodotta dal coronavirus. Il farmaco non combatte a monte il Covid-19, ma è efficace sui suoi effetti, aiutando il paziente a rimettere in salute il proprio apparato respiratorio. Per quanto riguarda gli Usa, ci sono diversi farmaci in corso di sperimentazione. C’è il Sarilumab che è un farmaco contro l’artrite reumatoide, selezionato per l’ingresso in clinical trials, per pazienti ospedalizzati con COVID-19 acuta. È un anticorpo monoclonale che può avere un ruolo nel promuovere l’eccessiva risposta infiammatoria nei polmoni dei pazienti con infezione severa o critica da Covid-19. Poi c’è il Losartan. Questo farmaco viene utilizzato per trattare l’ipertensione e anche per diminuire il rischio di infarto in persone con patologie cardiache. Appartiene alla categoria di antagonisti del recettore di angiotensina II. Previene il restringimento dei vasi sanguigni, favorendo la diminuzione della pressione sanguigna e migliorando il flusso sanguigno. Ancora, c’è un farmaco che si chiama Resmedavir sviluppato per combattere l’Ebola. Viene utilizzato in centinaia di pazienti con COVID-19 negli Usa e anche in Europa. Sono state riportate evidenze di beneficio, ma nessun dato concreto. C’è poi la Idrossiclorochina, un farmaco antimalarico. Sui suoi benefici c’è molta discussione. Il farmaco potrebbe danneggiare il cuore del paziente, ed esistono relazioni di segnalati casi di avvelenamento in persone che si sono auto-medicate. C’è ancora il mRNA-1273. Questo è un vaccino sviluppato da scienziati del National Institute of Allergy and Infectious Diseases (NIAID) in collaborazione con una company di Biotecnologie con base in Massachusetts. Il vaccino stimola le cellule dell’organismo a produrre una proteina virale che si spera possa indurre una robusta risposta immunitaria. E poi c’è il Convalescent Plasma: il sangue dei pazienti sopravvissuti contiene anticorpi che potrebbero neutralizzare il coronavirus. Dati preliminari su 5 pazienti in Cina hanno mostrato risultati incoraggianti”.

Per un vaccino, invece, quanto si dovrà attendere?

“Sono molti i gruppi di ricerca nel mondo che stanno lavorando a un vaccino Covid-19. Negli Usa, un gruppo di scienziati della University of Pittsburgh School of Medicine, guidato dal ricecatore italiano, il prof. Andrea Gambotto, sta studiando un vaccino che si somministra con un cerotto, chiamato ‘PittCoVacc’, dotato di 400 microaghi che in 2-3 minuti si sciolgono, rilasciando l’antigene che scatena la risposta immunitaria, la subunità “S1” della proteina virale “spike". I primi test sui topi sono promettenti: producono anticorpi specifici e in quantità sufficienti a neutralizzare il nuovo coronavirus. Non appena arriverà l’autorizzazione dall’FDA (Federal Drug Administration) sarà avviata la prima sperimentazione su pazienti. Per me questo lavoro di ricerca ha un potenziale enorme, anche perché questo gruppo di scienziati ha già ottenuto, precedentemente, importanti risultati sperimentati contro la Sars”.

- La concorrenza nella generazione di farmaci o nell'approvazione di protocolli per sperimentare farmaci già presenti sul mercato, può generare una concorrenza e una volontà dei vari gruppi di ricerca a far predominare il proprio standard? Questa condizione, secondo lei, può favorire o no il contrasto della pandemia?

“Covid-19 è un virus nuovo. Per identificare un farmaco capace di agire contro di esso bisogna identificare la o le strutture del virus coinvolte nella patologia che, modificate dal farmaco, saranno in grado di produrre l’effetto farmacologico e, quindi, promuovere la guarigione. La procedura non è rapida, per cui i ricercatori stanno tentando di utilizzare quelli già esistenti, sulla base delle conoscenze della biologia molecolare del virus che acquisiscono di giorno in giorno. Un principio condiviso da alcuni scienziati è quello di usare farmaci che abbiano un ampio spettro di attività e che abbiano pochi e lievi effetti collaterali. In questo modo esiste una maggiore possibilità di intercettare anche qualche componente importante del Covid-19. Le opzioni terapeutiche sono diverse; ci sono farmaci utilizzati nelle prime fasi iniziali, altri invece, come Tocilizumab, sono un supporto importante per controllare il processo infiammatorio che consegue all’infezione grave. Molto dipende anche dal momento in cui vengono utilizzati. Siamo ancora in una fase di studio ma ci sono molte iniziative e molti investimenti scientifici che mostrano una coalizione scientifica mondiale per trovare rapidamente soluzioni adeguate da utilizzare nei pazienti ospedalizzati e, in particolare, in quelli più critici”.

- Questa “esperienza” modificherà, secondo lei, le strutture strategiche dei diversi sistemi sanitari nazionali?

“La protezione della salute è una responsabilità di tutti. Le statistiche confermano che la maggior parte dei decessi è avvenuta nei pazienti con patologie di base come ipertensione, diabete e malattie cardiache o respiratorie. Successivamente dovremo agire per affrontare i livelli elevati e crescenti di malattie croniche nelle nostre società e per ridurre la pressione sui servizi di assistenza. In futuro bisognerà riorientare i nostri sistemi sanitari verso la prevenzione e la promozione. Inoltre, mi permetta di fare un’ulteriore considerazione, oggi tutti chiedono alla scienza di dare in tempi rapidi dei risultati, però non ci si rende conto che la ricerca scientifica in Italia ha avuto netti ridimensionamenti e spero che di questo i politici ne terranno conto per il futuro”.

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