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A Napoli l'aborto è un calvario: tra consultori chiusi e medici obiettori

Nel territorio dell'Asl Napoli 1 le donne sono costrette a un percorso a ostacoli: attese fuorilegge, mancanza di personale e, inoltre, 8 ginecologi su 10 si dichiarano contrati alla pratica che sarebbe garantita dalla legge 194

"Nella città di Napoli, il diritto di una donna ad abortire non è garantito". Maria Cristina Di Chicco è una giovane attivista e insieme alle sue compagne della rete territoriale 'Cca nisciun è fessa' lotta contro quella che è a tutti gli effetti la violazione di un diritto garantito per legge, precisamente la 194 del 1978. 

Per una donna che decide di abortire a Napoli si aprono le porte di un calvario lungo e faticoso, fatto di consultori chiusi, lunghe attese, insufficienza di personale e una percentuale di medici obiettori tra le più alte d'Italia: l'80 per cento. "Il primo ostacolo - spiega Serena Mammani, un'altra attivista - è quello dello stigma sociale. Lo troviamo in famiglia, ma anche nel personale medico che cerca di convincere la donna a cambiare idea, facendo leva sui sensi di colpa". 

Superando questo, si sbatte il muso contro i disservizi dell'Asl Napoli 1 Centro. "Il primo passaggio dovrebbe essere quello in consultorio - afferma Francesca Del Vecchio, anche lei di Cca nisciuno è fessa - E' il luogo dove si raccolgono informazioni e dove ci si sottopone alle prime visite. A Napoli su 21 consultori, 7 sono chiusi. L'ultimo, quello di Pianura, ha chiuso per il Covid e non ha mai più riaperto. Ciò significa che in città c'è una struttura per ogni 60mila abitanti, mentre la legge prevede che ce ne sia una per ogni 20mila. Come se non bastasse, anche quelli aperti funzionano male: i ginecologi fanno visita solo una volta a settimana; in alcuni di essi manca addirittura l'ecografo". 

Il secondo passaggio dovrebbe essere quello di accedere a un centro di Interruzione volontaria di gravidanza (Ivg): "A Napoli ne abbiamo quattro pubblici - sostiene Serena - ma per ottenere una visita possono passare settimane, mentre la legge impone che dovrebbe essere garantita entro una settimana dalla richiesta. Questo perché i tempi sono fondamentali. Una donna ha 9 settimane per scegliere l'aborto farmacologico e 12 per quello chirugico. A causa delle lunghe attese, nessuna riesce a optare per il primo, con la costrizione di doversi sottoporrre a un intervento invasivo. Come se non bastasse, è sempre la legge a indicare che l'aborto farmacologico potrebbe essere praticato anche nei consultori, senza affollare le strutture ospedaliere. In Campania, ciò non è possibile da nessuna parte".

Ammesso e non concesso che una paziente superi queste difficoltà si troverà di fronte a un altro muro: l'obiezione di coscienza di chi pur avendo scelto la medicina non intende garantire ciò che la legge 194 prevede da oltre 40 anni. In Italia, secondo l'Istat, i ginecologi obiettori, che quindi si rifiutato di praticare l'aborto, solopiù del 70 per cento. Napoli sta messa ancora peggio della media nazionale, con l'83 per cento. "Anche in questo caso, la norma non viene rispettata - dichiara Maria Cristina Di Chicco - Perché la 194 prevede che, al netto dell'obiezione di coscienza, ci sia un numero adeguato di medici che garantisca la possibilità di scegliere l'interruzione di gravidanza. E' incredibile che 42 anni dopo la situazione in Italia sia ancora questa e che la donna che sceglie di abortire venga indicata come un mostro". 

(Alcune delle immagini presenti in questo video sono prese da Pexels.com)

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