rotate-mobile
Storie

Diego Vitagliano: “Così ho portato la pizza contemporanea italiana nel mondo” 

Il super pizzaiolo napoletano ci racconta la crescita del suo brand 10 Pizzeria, dai primi passi dietro il bancone all’incontro fortunato con uno sceicco del Qatar. L'intervista

Vitagliano è nato nel 1985 a Napoli e (non a caso) di nome fa Diego. Legato alla storia della sua città fin dalla firma, a un certo punto ha deciso invece di fare la pizza in modo diverso dal solito. Chiamatela “a canotto” oppure — come preferisce lui — semplicemente “contemporanea”, la sostanza non cambia: impasti eseguiti con tecnica, ottime materie prime e qualità del servizio, che hanno convinto un pubblico inizialmente un po’ reticente. I suoi locali oggi sono in tutto 4, tra Napoli, Roma e il Qatar, e da pochi giorni alla sua 10 Pizzeria è stato assegnato il titolo di migliore d’Italia secondo la classifica 50 Top Pizza. Gli abbiamo chiesto come ci è riuscito.

La pizza di Diego Vitagliano a Pozzuoli

Partiamo dall’inizio. Come sei entrato in pizzeria?

Più che altro mi ci hanno portato. Mio padre mi ha fisicamente accompagnato, dicendomi: “se non impari il mestiere non torni a casa”. Parliamo della storica Carmenella di Salvatore e Vincenzo Esposito, avevo 14 anni.

Incisivo. Come mai tanto giovane?

Sono cresciuto al Rione Sant’Antonio, un quartiere bellissimo ma molto “vivace”. L’obiettivo dei miei era allontanarmi dalla strada e indirizzarmi verso un lavoro serio.

Quanto ci hai messo per sentirti un pizzaiolo “vero”?

Prima di pensare “ora sì che so fare la pizza” sono passati più o meno 14 anni. 

Diego Vitagliano a Bagnoli

Wow. Dicci di più di quella prima esperienza.

Dagli Esposito sono rimasto 5 anni, cominciando a consegnare le pizze. La cosa più importante è stato fare la gavetta, quella vera. Oggi tanti colleghi — anche bravi, per carità — fanno un corso e si sentono già arrivati. Il mio percorso è stato un po’ diverso.

Com’è andata dopo gli Esposito?

Ho girato un altro paio di locali e poi sono arrivato al Monaco. Lì mi hanno messo da solo a gestire banco e forno, e mi sono dato da fare. Poi, nel 2016, ho aperto il mio primo locale a Pozzuoli e ho potuto tirar fuori del mio. É stato allora che ho iniziato a ragionare in modo diverso sugli impasti.

Arriviamo alla famosa “pizza contemporanea”, quindi.

Sicuramente a qualcosa di un po’ diverso da quel che si faceva prima. La napoletana “classica” ha sempre avuto lievitazioni piuttosto corte, mentre io ho voluto “stressare” gli impasti. Esplorare altre possibilità e capire cosa succedeva allungando le lievitazioni e aumentando i livelli di idratazione.

10 Pizzeria di Diego Vitagliano a Roma

Il risultato?

Una pizza soddisfacente quanto quella “classica”, ma ben più leggera e digeribile. Ci sono arrivato — tra i primi, lo dico con un po’ di orgoglio — portando nella pizza le tecniche della panificazione, come il metodo indiretto. Tanta leggerezza e un cornicione più pronunciato.

Stiamo parlando della famigerata “pizza a canotto”?

Direi di sì, anche se chiamarla così è proprio brutto. Non va bene. Preferisco parlare di pizza contemporanea. Non è giusto essere incasellati in uno stile, perché la differenza la fanno soltanto tecnica e metodo. Lo dico sempre, la pizza buona si vede di notte. Quando hai finito di cenare e vai a letto leggero.

Una grande verità. Tornando sul tema della pizza contemporanea, si parla tanto di pizze gourmet e preparazioni gastronomiche. Raccontaci i tuoi topping.

Non sono un grande fan dei “piatti” sulla pizza. Secondo me hanno poco senso. La cosa fondamentale è scegliere grandi materie prime e trattarle con rispetto. A volte mi diverto a ripensare a ricette tradizionali, che sono un modo per legare il mio prodotto al territorio. Non necessariamente a quello napoletano: faccio anche un omaggio al ripieno dei tortellini, per intenderci. L’importante è rimanere “in pizzeria”. Non avrebbe senso mettersi a preparare l’anatra all’arancia. Anche se ho una cucina di 200 metri e potrei farci un po’ di tutto.

Oggi, infatti, non sei “solo” un pizzaiolo, ma anche un imprenditore.

Eh si. La mia pizza un po’ “strana”, che tanti all’inizio reputavano troppo moderna, ha convinto un po’ tutti. Nel 2017 mi sono trasferito in un locale più grande nel quartiere Bagnoli e due anni dopo sono tornato a Pozzuoli con una seconda insegna. Poi, una sera, è venuto a cena un membro della famiglia reale del Qatar, il cugino dell’attuale emiro. È stato un bell’“imprevisto”.

Ovvero?

Pare che la pizza gli sia molto piaciuta. Il giorno dopo mi hanno chiamato dall’ambasciata e dopo 7 mesi di trattative mi sono convinto a mandare un progetto. A novembre 2022, poco prima dell’inizio dei mondiali di calcio, abbiamo aperto anche a Doha.

La tua pizza in Qatar assomiglia a quella di qui?

Moltissimo. L’impasto è un po’ diverso, perché dobbiamo trattare le farine con un altro metodo per via delle temperature. Poi c’è la questione religiosa. Lì non mangiano maiale e lavoriamo molto agnello. Ho ripreso la ricetta dell’agnello con le patate, che a Napoli facciamo per Pasqua. Sulla pizza ci sta benissimo. 

Diego Vitagliano a Doha

E poi da qualche mese sei sbarcato anche a Roma...

Sì, con grande gioia. Adoro la Capitale anche perché mi ricorda un po’ Pozzuoli, dove c’è un grande patrimonio archeologico. Mi sono presentato con tutto l’amore che ho per questa storia, ma in tutta semplicità.

Che ne pensi invece della pizza “romana”?

Mi piace e l’ho messa anche in menu. Faccio una mia versione, più bassa della mia solita, che ho chiamato “rustichella”. Poi anche quella alla pala. Tra i fritti invece propongo solo i classici napoletani, perché il supplì è intoccabile. A Roma, così come in tutti gli altri locali, c’è anche un box asettico per gli impasti senza glutine. Offrire un servizio che includa tutti è un valore.

A proposito di servizio. Nell’ultima edizione della classifica 50 Top Pizza — oltre al primo posto con 10 Pizzeria di Napoli — hai ricevuto il premio come Miglior Servizio di Sala.

Esatto. E ne vado particolarmente fiero. Ho scalato 22 posizioni in classifica in 4 anni, ed è una grandissima cosa. Ma questo riconoscimento è ugualmente importante. Perché non si può parlare di pizza contemporanea senza metterci anche la qualità dell’accoglienza. Che passa da proposte adatte a tutti, una carta delle bevande fatta bene e una squadra di professionisti ben formati, tra camerieri, maître e sommelier.

Diego Vitagliano

Napoli, Doha, Roma. Come si tiene tutto sotto controllo?

Formando, appunto, collaboratori professionali e poi viaggiando molto. Tutte le sere inizio il servizio a Napoli e alle 23 mi sposto nel locale di Pozzuoli. Il giovedì e venerdì a pranzo sono a Roma e una settimana ogni tre mesi la passo in Qatar. È poi, per fortuna, c’è il telefono: incandescente, ogni ora mi arrivano foto da tutti i locali. Così vedo come vanno le cose. E controllo pure come vengono gli impasti.

Chiudiamo nel modo più classico, chiedendoti le prospettive da qui a 5 anni.

Di una cosa sono certo: 10 Pizzeria non diventerà una “catena” e la qualità non calerà mai di un millimetro. Ma non lo nascondo, mi piacerebbe allargarmi ancora un po’. Farei un pensierino alla Spagna. Sono bravi, si divertono e sanno mangiare. Mi ci vedo molto bene.

Leggi il contenuto integrale su CiboToday

Potrebbe interessarti

NapoliToday è in caricamento