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Paese, città e coscienza

Paese, città e coscienza

A cura di architetto Mariano Lebro

Il Sud con l'amaro in bocca: Napoli e il Paese uniti da una corruzione dalle radici antiche

La città tanto amata, ma spesso anche odiata, si mostra in tutta la sua fragilità

Questa città tanto amata, ma spesso anche odiata, si mostra in tutta la sua fragilità. Napoli è una metropoli ingrigita e sedimentata su se stessa. Se al turista appare ancora vitale, all’occhio attento di chi vi vive da tempo, rivela d’essere afflitta da mali cronici a cui nessuna classe politica ha mostrato una reale attenzione e volontà di azioni risolutive. Non ci meraviglia se sopravvivono i danni bellici della 2a guerra mondiale (vuoti urbani) visto che ormai ci conviviamo, ma disorienta sapere che sono incredibilmente evidenti e presenti i danni post unitari. Come è possibile? Già all’indomani dell’unità d’Italia, la classe dirigente veniva scelta e plasmata per essere servile e partecipe nell’assuefazione al progetto di screditamento culturale e imprenditoriale. Un processo lento che i napoletani hanno imparato a proprie spese. Basti pensare allo stato in cui versa la stazione Napoli – Portici… Prima stazione ferroviaria d’Italia e tra le prime in Europa dovrebbe essere posta in evidenza e non nascosta e lasciata come un insignificante rudere. Napoli e il sud hanno pagato per la coerenza intellettuale e la fedeltà alle proprie radici. Ma questo articolo non vuole essere il solito “canto del cigno”. L’unità è sacra ed inviolabile, proprio perché il tanto vituperato meridione ha dato per l’unità del paese quello che a nessun altro territorio è stato mai chiesto, con sacrifici economici e umani. In quale altro Paese si è agito con tanta crudeltà, utilizzando con assoluta disinvoltura mezzi militari e “culturali”? Una verità costruita con arguzia e mistificazione contro il suo stesso popolo. Un’opera sistematica che mirava a colpire nell’orgoglio un popolo, con il solo intento pratico di sovrastare, di predare. Dunque non l’unità invocata dai padri “spirituali” della patria. Basta pensare agli studi di Marco Ezechia Lombroso, detto Cesare, e al suo “splendido” museo di antropologia criminale. Un esempio di odio raziale “corretto” e giustificato nel nome della scienza. Neanche l’espressione di una scienza acerba –come alcuni argomentano per giustificarne i misfatti– ma scientismo da nazisti dell’ultima ora a cui tutto il Paese, da nord a sud, dovrebbe ancora oggi rispondere con sdegno e autentico rispetto. Cosa attendono gli illuminati detentori della cultura a provare sdegno e disconoscerlo promuovedone la chiusura? Non sterile revisionismo, ma superamento della “questione meridionale” in nome della “questione Italia”. Queste vicende, con tante altre, costituiscono il “corpus” del sacrificio della nostra terra per l’Unità del Paese. Una nazione che oggi, come non mai, deve sentirsi unita e solidale perché i mali che l’affliggono hanno investito, seppure in diverso modo, ogni lembo del suo territorio. La giusta risposta non è altro che il sentimento di una nuova italianità capace di superare il buio culturale che ha addormentato la coscienza del Paese, e che in una rinnovata unione di popoli e culture possa anche trovare le energie necessarie a risolvere i mali che l’affliggono. Forse gli stessi mali di sempre perché, a ben vedere, la prima emergenza a cui pensa un cittadino italiano era ed è la corruzione e il mal governo. Storicamente quanto dispiace è constatare come ancora ai giorni nostri la corruzione dello stato sabaudo pesi per aver rinvigorito il nostro malaffare.

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Tra i molteplici effetti, tra i retaggi post prima e seconda repubblica, ve ne è uno che spicca come esempio negativo dei mali che attanagliano il tessuto sociale italiano: il clientelismo. Una realtà antica e certamente intimamente legata al nepotismo. Che il nepotismo sia un male feroce ce lo raccontano già Dante e la storia della Chiesa cattolica. Quando poi più in generale si parla di corruzione, non si deve però intendere solo quella economica, ma anche la corruzione dei costumi, della capacità di coltivare l’intrigo e il disfattismo. Ma l’Italia fu costruita così…

Questi aspetti ben conosciuti divengono immediatamente ovvi se pensiamo che dopo una apparente quiete del primo dopoguerra, tutto o quasi è stato contaminato dalla corruzione e mal governo. Ciò ha posto le basi per il rafforzamento e l’imposizione di una intera classe politica, sempre meno politica e più “tollerante”. Una visione precisa dagli intenti più o meno dichiarati può essere letta ne “Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa: “…tutto cambi affinché nulla cambi”. A noi e ai nostri figli l’onere di pagare il conto dei danni che si sono sommati anno dopo anno.

I napoletani, quelli con poteri istituzionali e magari di controllo, si sono macchiati (e ancor oggi ne fanno “uso” con grande dimestichezza) di nepotismo o troppo spesso voltati a guardare altrove, in perfetta sincronia con quella politica nazionale tollerante e connivente. In verità ci si è adagiati su una ricchezza effimera, che si credeva infinita. Il nepotismo ha conquistato il “cuore” di molti e attraversato ogni realtà: istituzionale, accademica, economica. È come se la selezione naturale di Darwin fosse stata sostituita da una randomica scelta governata dal caos. I danni sarebbero incalcolabili, come in realtà lo sono, anche se difficile o impossibile è calcolarne l’entità precisa. Un “sistema” che ha potuto fondare la sua arroganza su fondi che sembravano infiniti e replicabili. Siamo stati indotti a pensare che lo spreco di fondi pubblici era fisiologico e che poco contava il loro reale utilizzo, ciò che contava era che la spesa pubblica fosse alta e che grandi, enormi quantità di denaro ballassero sul mercato. Tutto però concentrato nelle mani degli “amici”, in barba al più democratico processo di redistribuzione delle ricchezze. Conosciamo le ormai note “cattedrali nel deserto”. Create con lo scopo apparente di investire l’intero sud con fiumi di denaro per promuoverne l’industrializzazione, ma con la più reale ma nascosta volontà di favorire gli interessi personali dei compiacenti amici. L’agnello sacrificale andava offerto a gruppi “imprenditorialmente” eterogeni, molti dei quali nati “truffaldini” e tanto trasversali da riguardare spesso società “residenti” al nord. Il risultato peggiore è stato quello di aver preparato il terreno alle nuove mafie. Il tutto senza aver sconfitto la miseria dei territori, ma prodotto disgregazione sociale, anonimato culturale, allargato quelle sacche di popolazione incline a delinquere. Un processo degenerativo complesso e assolutamente trasversale. Tra gli altri settori maggiormente “inclini” a prestarsi gioiosamente a questi “usi”, quello dell’edilizia residenziale popolare e sovvenzionata, più collaborativo dagli anni ‘60 in poi per le nuove Leggi sull’edilizia sovvenzionata. Si leggono così dinamiche paradossali. Complici quelle che potremmo affermare essere nei fatti il frutto di una spartizione dei ruoli e un accordo trasversale tra le forze politiche di quegli anni: un “compromesso storico” ante litteram… Con la Legge 167 del 1962 si sonocostruiti ghetti utili alla deportazione inconsapevole della popolazione. Tutte era possibile nel nome di una zonizzazione che, se non selvaggia, certamente può essere definita quale “accademicamente pura”, ossia senza alcuna contaminazione “umana”. L’artico 1 recita: “I Comuni con popolazione superiore ai 50.000 abitanti o che siano capoluoghi di Provincia sono tenuti a formare un piano delle zone da destinare alla costruzione di alloggi a carattere economico o popolare, nonché alle opere e servizi complementari, urbani e sociali, ivi comprese le aree a verde pubblico”. Interi pezzi di città, quartieri con edifici costruiti come gabbie per criceti, con servizi essenziali e “standards”. Metodologie che alla luce di riscontri oggettivi e dei nuovi studi sociali potrebbero facilmente essere classificati quali criminali.

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Luoghi da riempire con i cittadini provenienti dalle campagne e dai quartieri storici da costringere in un ambiente artificiale manchevole di ogni aspetto umano. Tutto ben organizzato perché questi ghetti assumessero il valore di “dormitorio”. Moderno giaciglio da occupare la sola notte per poi fuggire a bordo delle auto, vero mito e effimere dispensatrici di libertà. Strade ampie e… assolate, a scorrimento veloce: a nessuno potrebbe venire l’idea di fermarsi e sentirsi “a casa”. Scatole in attesa della nascita di un uomo “nuovo”. Un essere amebico con la morale confezionata da uno stato centralista. Un cittadino alienato dal lavoro nelle fabbriche e frequentatore dei centri commerciali? Un “consumatore” perfetto, intriso di dottrine compiacenti con un’identità a metà tra gli indirizzi di una sinistra viziata dalle tossine di madre Russia e, per l’altra metà, schiavo di un capitalismo ammiccante ed attento al solo valore del denaro. Un’azione che ha previsto la strumentalizzazione delle masse per poter mettere in atto un processo tanto ampio da poter gestire a gruppi fidelizzati un gratificante successivo buon affare: la trasformazione dei centri storici quali moderni luna park. In sintesi la quadratura del cerchio. Ma il processo è stato più lento del previsto ed ha spinto i quartieri storici verso un irresponsabile degrado.

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Le tradizioni, l’attaccamento ai luoghi natii da parte dei cittadini già residenti e resilienti e, ancora, la continua successione dei governi (non delle politiche effettive) ha rallentato ed alzato i costi. Un progetto mirato e ben curato per operare l’effettivo svuotamento dei centri storici con ogni mezzo. Tra questi la cancellazione della sua piccola, ma essenziale economia: non quella del contrabbando e del piccolo illecito troppo spesso confusa o classificata frettolosamente come “economia del vicolo”, ma quella dell’artigianato strettamente connesso all’organizzazione medievale e rinascimentale della città e miracolosamente sopravvissuta all’avvento dell’età moderna. Una dinamica che ha purtroppo investito l’intero Paese, anche se con tempi diversi e Leggi apparentemente in contrasto. Oggi, ad opera parzialmente compiuta, possiamo “leggere” quanto accaduto, contare le ferite inferte e notare come ancora una volta, complice il ruolo economico/industriale secondario assegnato al sud, queste azioni hanno creato danni al meridione più ampi e devastanti di quelli provocati alle aree del nord. Ma conoscere le motivazioni di queste realtà non consola ne peggiora il giudizio storico. Una lettura dei fatti a cui forse alcuni “storceranno il naso”, ma che guarda alla recente storia italiana come un unico “gioco”. Il pregio? Maggior libertà critica. Una storicizzazione dei fatti più antichi e, contemporaneamente più recenti, contribuisce a rendere possibile, amara soddisfazione, un’opera di rinascita e rinnovamento effettivo. Sempreché ovviamente ci si decida a cambiare gli attori e a dar spazio sul m palcoscenico della storia a nuovi interpreti, politici, culturali ed economici con più autentico senso civico e spirito di sacrificio. In questo e per questo, in extrema ratio, la necessità dell’avvento della meritocrazia. Oggi un esercizio della nostra libertà politica, un domani molto prossimo, una via obbligata per la sopravvivenza della nazione.

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