I Fratelli Russo e la difficile partita teatrale de "Il Giocatore"
Non convince l'adattamento teatrale del celebre romanzo di Dostoevskij che ha debuttato ieri al Bellini di Napoli
Rien ne va plus. Con questa citazione in apertura, si alza il sipario su "Il Giocatore" al teatro Bellini di Napoli, tratto dal romanzo dello scrittore russo Fedor Dostoevskij, con l’adattamento di Vitaliano Trevisan, l’interpretazione di Daniele Russo e la regia di Gabriele Russo. Ed effettivamente c'è molto che non va nello spettacolo che, soprattutto nel primo atto, si mantiene su una linea piatta, schiacciata dalla sovrabbondanza testuale del verbo che non lascia spazio ad alcun guizzo interpretativo.
Nonostante la buona intuizione registica, di sviluppare la narrazione sul doppio binario del piano personale dello scrittore (Dostoevskij quando scrisse il romanzo, stava per perdere i diritti d’autore a causa di debiti di gioco e solo grazie all'aiuto della dattilografa Anna Grigorevna riesce ad ultimare il romanzo in 28 giorni, riottenendo i diritti d’autore e trovando l'amore nella Grigorevna che poi sposa) e su quello della finzione scenica, in cui i personaggi del romanzo prendono vita, manca la sostanza a discapito della forma.