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CATTIVI PENSIERI

CATTIVI PENSIERI

A cura di Massimo Romano

Non ci sono più le zone rosse (e arancioni) di una volta

Indicazioni contraddittorie, nessun controllo e liti istituzionali. La politica colpevolizza la popolazione per nascondere il fallimento su tutti i fronti nella gestione della pandemia e della crisi economica

Gente in strada, traffico ai semafori, negozi aperti. Alzi la mano chi dal 15 novembre al 5 dicembre si è sentito davvero in zona rossa. Da qualche ora, la Campania ha cambiato colore, diventando zona arancione. Eppure, i giorni che ci siamo lasciati alle spalle sono stati all'insegna di confusione e nonsense. Era il 15 novembre quando, dopo giorni di polemiche, il Governo trasformò in rosso quello che pochi giorni prima era stato valutato giallo. Nel continuo e insulso litigio istituzionale tra Regione, Comune di Napoli e Governo, ci fu detto che chiudere tutto e impedire gli spostamenti era necessario per dare respiro agli ospedali e salvare vite.

Dichiarazioni di facciata a parte, chiunque abbia attraversato Napoli e la provincia, a piedi o in automobile, si è reso immediatamente conto di come lo scenario fosse molto diverso da quello di marzo, aprile e maggio. Le regole hanno permesso a molti esercizi commerciali di restare aperti. Chiunque abbia messo in vendita un paio di calzini per bambini, o una doppia spina ha potuto ad alzare la saracinesca, riducendo a un numero molto basso, i negozi che hanno dovuto subire una chiusura tout court. Tra questi, ci sono i ristoratori, che resteranno inattivi anche con la zona arancione. I bar, invece, hanno potuto lavorare con asporto. In molti casi, però, ciò ha significato trasferire i capannelli davanti a un buon caffè dal bancone interno al tavolino che molti esercenti hanno sistemato sull’uscio del locale.

Viene da chiedersi, se la situazione era così grave come ci veniva raccontata, il perché di tante deroghe alla chiusura. Così come viene da chiedersi come si pensa di poter assicurare un lockdown, seppur parziale, senza mettere in campo un sistema efficace di controlli.

La zona rossa prevedeva, tra le altre cose, il divieto di uscita dalla propria dimora se non per motivi di lavoro o urgenza e il divieto di uscire da confini comunali. Ma se da un lato le indicazioni erano queste, dall'altro sono stati lasciati aperti i parchi per l'attività motoria e si è consentito di valicare i confini per cercare negozi più convenienti rispetto a quelli del Comune di residenza. Una babele di postille che ha reso inutili i controlli, che in effetti non ci sono stati. Pochissimi i posti di blocco, confini sguarniti (come dimostrato da un recente servizio di Napolitoday), mai una volante nelle zone di assembramento.

Una zona rossa di nome ma non certo di fatto. E viene il sospetto che le scelte di chi amministra siano prese più per dimostrare di aver fatto qualcosa, piuttosto che per una reale convinzione. Ora, la Campania è in fascia arancione, la prospettiva è che il 15 diventi gialla come il resto d’Italia. Giusto in tempo per consentire agli italiani di comprare i regali di Natale e far risparmiare al Governo e Regione un bel po’ di soldi per i ristori.

A gennaio, poi, se malauguratamente dovesse esserci un nuovo aumento di contagi dovremo aspettarci che la colpa sarà data ancora una volta alla popolazione, così come fatto dopo l’estate scorsa. Furono aperti i confini, le spiagge, le discoteche per poi incolpare le persone che erano state in vacanza. Oppure come quando il governatore De Luca indicò nella scuola la principale causa di contagi. Quella stessa scuola per cui nei mesi precedenti erano stati promessi docenti, aule in più e banchi. Non è arrivato nulla.

L'impressione è che la classe politica punti il dito contro la popolazione per nascondere il fallimento di buona parte delle scelte. Dall'adeguamento degli ospedali all'assunzione dei medici, dai già citati banchi monoposto all’introvabile vaccino anti-influenzale, dalla cassa integrazione che non arriva a intere categorie rimaste senza aiuto nella più grande crisi del secondo dopoguerra.

Secondo la Cgia, a novembre l'Italia aveva investito per i ristori 90 miliardi di euro. La Germania ne ha messi sul piatto 284, il Regno Unito circa 200, la Francia 110. La Spagna è l'unica grande d’Europa ad aver stanziato meno risorse, ma ha trovato il coraggio di approvare una legge patrimoniale. Soldi, coraggio, controlli e visione, cose che al nostro Paese fino ad ora sono mancate. A noi restano zona rosse e arancioni disegnate su una cartina geografica senza nessun riscontro nella realtà

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