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CATTIVI PENSIERI

CATTIVI PENSIERI

A cura di Massimo Romano

Fast food al posto di un negozio storico: è anche colpa nostra

L'ennesima bottega del centro di Napoli ha chiuso i battenti. Aprirà un punto vendita di una nota catena italiana. Le responsabilità sono della crisi ma anche delle abitudini dei cittadini

Carpentiero era un negozio pieno di fascino. Quadri, valigie, abiti, poster, stampe, cappelli, suppellettili. Pezzi d'arte e oggetti di quelli che non trovi dappertutto. Era più di un negozio. Era una galleria. Uno spazio espositivo in piazza Muncipio, in pieno centro di Napoli. Uno di quegli spazi in cui è bello entrare, per sentirne l'odore, per guardare e riempirsi gli occhi.

Negli ultimi dieci anni saranno centinaia le volte che mi sono fermato a osservare la vetrina riflettendo su che cosa comprare. Quando qualche giorno fa l'ho visto chiuso, con i vetri tappezzati dai manifesti di prossima apertura di un fast food di una nota catena italiana, ci sono rimasto di sasso.

Da tempo aveva affisso il cartello "liquidazione" ma non ci avevo mai dato troppo peso. E ho pensato rammaricarmi di quella chiusura non sarebbe stato intellettualmente onesto perché se Carpentiero non esiste più è anche colpa mia. Colpa mia perché nelle centinaia di volte in cui mi sono avvicinato a quella vetrina, neanche una volta ho acquistato qualcosa. Mi sono sempre detto "...lo comprerò la prossima volta". 

Carpentiero è solo l'ultimo caso di chiusura di un locale storico in favore di una multinazionale, di un fast food, di una friggitoria, di un centro scommesse. E se da un lato possiamo pensare, giustamente, che la colpa sia della crisi, noi cittadini non possiamo non prenderci le nostre responsabilità. Che sono le responsabilità di consumatori distratti, irresponsabili e pigri. 

Napoli è una città che si indigna per ogni piccola libreria che chiude. E solo tra Port'Alba e piazza Dante ne hanno chiuse a decine. Eppure, se quelle librerie hanno chiuso è perché solo in pochi compravano, preferendo acquistare nei grandi store o su internet. E il discorso potrebbe allargarsi a macellai, ferramenta e falegnami del centro storico, che hanno lasciato spazio a baretti e friggitorie; oppure ai negozi di abbigliamento di via Toledo o del Vomero che hanno chiuso dopo decenni di attività. 

Siamo bravi a esternalizzare le responsabilità, a puntare il dito contro la globalizzazione o, più banalmente, contro la politica che dovrebbe sostenere economicamente le botteghe storiche. La verità è che il primo passo dovrebbe essere il nostro, scegliendo questi negozi una volta in più e non una volta in meno. Senza accorgercene, Napoli si sta trasformando intorno a noi, diventando un luogo sempre più uguale ad altri luoghi. 

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