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Sabato, 20 Aprile 2024
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Dall’Ucraina a Napoli, come si integrano i bambini scappati dalla guerra: la testimonianza di Yuliya

"L’inserimento nelle scuole è difficile, non solo per una questione linguistica, ma anche perché i più piccoli sperano di tornare presto a casa e riabbracciare i loro compagni", racconta la mediatrice interculturale

Dall’inizio della guerra sono arrivati in Campania circa tremila bambini ucraini, di cui centinaia non accompagnati. Ad accoglierli una grande rete di solidarietà costituita da associazioni, parrocchie, scuole, volontari e strutture ospedaliere che stanno ospitando i piccoli profughi che necessitano di cure. “La gran parte di questi bambini – spiega a NapoliToday Yuliya, giovane ucraina originaria di Kiev, a Napoli dal 2011 - vengono accolti insieme alla mamma, ai fratellini e sorelline, dalle famiglie presso cui lavora la nonna o da parenti già qui in Italia. Sono tante le famiglie italiane e le associazioni che si sono attivate per dare loro ospitalità mettendo a disposizione appartamenti, posti letto e il proprio tempo”. Ma come si stanno integrando a Napoli i bambini ucraini scappati dalla guerra? E cosa prevede il sistema di accoglienza e integrazione italiano? A raccontarcelo e riportaci la sua testimonianza è Yuliya, che sta lavorando come mediatrice interculturale presso alcune scuole napoletane per aiutare i piccoli profughi ucraini ad integrarsi nelle classi che li hanno accolti.

Il sistema di accoglienza e integrazione

“Io sto collaborando con Casba - racconta Yuliya -, una cooperativa di mediatori interculturali, la prima in Campania composta esclusivamente da mediatori interculturali. Casba è stata coinvolta in un progetto della cooperativa Dedalus, “Grazia sotto pressione”, rivolto ai bambini e alle famiglie che si ritrovano in situazioni di grave povertà educativa e socio-economica, che alloggiano nella IV Municipalità. Per ora ci sono pervenute richieste di mediazione interculturale per l’integrazione dei profughi ucraini da una scuola di Pianura e da due scuole di Posillipo. Ma abbiamo accolto anche le richieste di alcune scuole di Torre del Greco e di Ercolano, nonostante non facciano parte della IV Municipalità. Solitamente, se la scuola ne ha bisogno, si rivolge alla cooperativa e richiede la figura del mediatore interculturale, a meno che non sia coinvolta già in qualche progetto di mediazione interculturale per bambini stranieri. Su questo c’è un’informativa chiara emessa dal Ministero dell’Istruzione, e citata anche da Save the Children”.

Un percorso educativo e di inserimento personalizzato

“Da quando è scoppiata la guerra in Ucraina stanno arrivando in Italia tantissimi bambini in età scolare. In alcuni casi la mamma decide di mandarli alla scuola italiana, in altri casi decide, lì dove possibile, di fargli seguire la Dad con le insegnanti della scuola ucraina, considerando anche il fatto che l’anno scolastico ucraino è quasi finito. Quando la mamma richiede alla scuola italiana l'inserimento in classe il proprio bambino, la scuola chiama la cooperativa e immediatamente organizza una riunione a cui partecipa il mediatore, gli insegnanti e i genitori, e in un secondo momento si coinvolge anche il bambino. L’obiettivo della riunione è costruire un percorso educativo e di inserimento personalizzato in base alle capacità e alle conoscenze del bambino, alla sua condizione psicologica e ai suoi interessi. Il ruolo del mediatore sarà poi quello di ponte tra insegnante, bambino ucraino e bambini italiani”.

La Dad coi vecchi insegnanti

“Alcuni bambini seguono in maniera esclusiva la Dad con la vecchia scuola, rischiando molte volte di vedere interrotta la lezione dall’allarme delle sirene antiaeree; altri seguono le lezioni nelle scuole italiane ma anche la Dad con la vecchia scuola; altri seguono solo le lezioni nella scuola italiana. A una ragazza è stato consentito di seguire la Dad direttamente dalla classe, con le cuffiette e il tablet. Ci sono, quindi, situazioni molte diverse, anche perché solo alcune scuole in Ucraina hanno ripreso con le lezioni online, mentre per altre non è stato possibile. Questi bambini seguono la Dad da casa, dall’Ucraina, o dai Paesi dai quali sono scappati, e sono in costante collegamento con le scuole, con i compagni, con gli amici che stanno lì o in qualche altra parte del mondo. Ma sono stanchi, anche perché provengono da due anni di Dad, a causa della pandemia, e non ce la fanno più".

Il viaggio dall’Ucraina a Napoli

“La gran parte dei bambini che seguo, sono partiti da Kiev, due ragazzini dalla parte occidentale dell’Ucraina. Sono stati messi sul treno dai genitori o saliti in compagnia della mamma, e sono arrivati al confine con la Polonia, il confine più esteso, meglio collegato dal punto di vista delle ferrovie (esiste un collegamento diretto tra Leopoli e città come Varsavia), e che quindi offre più possibilità di attraversamento con il treno ma anche con un pullman. Dalla Polonia, poi, hanno preso un autobus e sono arrivati a Napoli. Il viaggio è sempre organizzato dalle associazioni, e per fortuna è stato vissuto dalla gran parte di questi bambini come una mini avventura, quasi come un gioco”.

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I bambini sono al sicuro, ma il loro cuore è in Ucraina

“I bambini che arrivano qui sono tutti senza papà, perché gli uomini tra i 18 e i 60 anni non possono uscire dall’Ucraina. Sono spaventati e si sentono in colpa per aver lasciato i loro compagni. Sono traumatizzati perché sradicati improvvisamente dagli affetti, dalla scuola e dalle loro amicizie. Non riescono a staccarsi dal telefonino, con cui inviano e ricevono continuamente messaggi a loro amici. La loro vita qui è al sicuro, ma il cuore è rimasto a casa. Tra i bambini che seguo c’è una ragazzina di 13 anni che è arrivata a Napoli solo con la mamma perchè il fratello non può uscire dal Paese avendo appena compiuto 18 anni. Alcuni bambini sono arrivati qui con le madri, altri da soli, ma grazie alle associazioni hanno trovato sistemazione presso alcune famiglie italiane. Per alcuni di loro non è la prima esperienza di fuga: uno dei ragazzini che seguo è nato a Mariupol nel 2014, quando era in corso il conflitto, e per questo motivo la famiglia è scappata da Kiev”.

Le storie di integrazione

“Uno dei ragazzi che seguo presso la scuola di Torre del Greco, all'età di 7 anni (ora ne ha 13) ha visto la mamma morire davanti ai suoi occhi. A quel tempo viveva nella parte russofona dell’Ucraina, oggi sta qui a Napoli con la nonna. Il ragazzino ha seguito due anni di psichiatria, è impegnato con lo sport e altre attività, ma ad oggi ancora non ha superato il trauma. In classe sembra vivace, ma questo atteggiamento è solo una maschera che nasconde un dramma enorme. Ogni bambino ha reagito in modo diverso a questa guerra: c’è chi si è chiuso in un rifiuto, c’è chi si è aperto al cambiamento. Nel caso dei bambini che stanno scappando ora dalla guerra in Ucraina, come sottolinea anche Save the Children, c’è una particolarità che caratterizza la loro situazione: la temporaneità della loro permanenza in Italia. Alcuni ragazzi si concentrano proprio su questo, si dicono: “Io sono qui temporaneamente, ora la guerra finisce e torno a casa!”. Questo approccio, ovviamente, comporta una chiusura e, quindi, una difficoltà nell’integrazione. Molti bambini mi hanno anche detto: “Ma perché devo imparare l’italiano, perchè devo venire in questa scuola italiana, perché devo farmi nuovi compagni di classe?”. Seguire le lezioni di scuola qui è per loro come tradire i compagni di classe ucraini. Si sentono in colpa perché loro sono scappati, sono al sicuro, mentre molti dei loro compagni sono rimasti nelle città bombardate e rischiano la vita ogni giorno. L’altro giorno uno di loro ha saputo che anche altri compagni di classe erano scappati e stavano seguendo lezioni in altre scuole in altri Paesi: questa notizia lo ha sollevato, ma non completamente. La sua situazione qui è più che serena (con lui c’è la mamma, il fratellino di sei mesi, la nonna, e sta seguendo un corso gratuito di canottaggio offerto dal Circolo Canottieri di Posillipo), ma il suo pensiero torna sempre lì, ai suoi compagni in Ucraina”.

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