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L'ultimo porcellanista di Capodimonte: "Così difendo la nostra storia"

Giovanni Carusio è il titolare di una delle due botteghe dell'antica arte borbonica rimaste in attività: "Noi napoletani quelli che apprezzano meno. Combatto contro i falsi". Da anni si attende il Comune per la messa in atto del disciplinare di qualità

C'è chi assicura che nel mondo la parola Capodimonte sia più conosciuta di Napoli. Una fama per larga parte dovuta alla lavorazione della porcellana. Una tradizione pluri-secolare che rischia di scomparire nel giro di qualche anno. La famiglia di Giovanni Carusio si occupa di porcellane di Capodimonte da quattro generazioni.

"Fino a venti anni fa - ricorda- solo ai Ponti rossi c'erano almeno cinquanta botteghe. Adesso, siamo rimasti in due". Una storia nata nel '700, con Carlo di Borbone, e che ha valicato presto i confini nazionali: "Già all'epoca le nostre porcellane venivano copiate - racconta Giovanni - Nel '900, addirittura, c'erano riproduzioni in resina sulle quali veniva apposto il simbolo della corona". 

Eppure, sono tempi duri per gli artisti della porcellana. "I costi di produzione sono alti - prosegue l'artigiano - Con la globalizzazione dobbiamo vincere la concorrenza di prodotti che vengono da ogni parte del mondo. Inoltre, le porcellane di Capodimonte, sebbene si attestino su standard di qualità altissimi, seguono uno stile tradizionale e devono confrontarsi con un mercato più moderno. Come se non bastasse, il ricambio generazionale è difficoltoso". 

Giovanni, ultimo porcellanista di Capodimonte

A Giovanni, però, non manca certo la speranza: "Paradossalmente, in questo periodo pandemico sembra che l'amore per la nostra arte sia in ripresa. Noi napoletani siamo quelli che l'apprezzano meno. Ma fuori dalla Campania è un marchio ancora forte. I miei mercati principali sono Stati Uniti, Giappone e Russia". 

Ci sono giorni in cui il peso di essere il custode di una storia così preziosa si fa sentire: "Mi capita di chiedermi 'Chi me lo fare?'. Però, poi, c'è la passione che mi fa rialzare. Questo è un lavoro che unisce artigianato e arte. Ci vogliono mesi per imparare la tecnica e altri mesi per inventare cose nuove. E' una continua sfida con se stessi". 

Una mano alle porcellane di Capodimonte potrebbe arrivare dalla politica, ma i tempi di chi ci governa sono molto più lunghi delle esigenze dei cittadini: "Risale al 1990 la legge per istituire un disciplinare di produzione. L'iter è durato oltre vent'anni e questo disciplinare è nato solo pochi anni fa. Il percorso si è bloccato di nuovo quando è arrivato al Comune di Napoli, titolare del marchio. Sono stati nominati i commissari per valutare i prodotti, ma la commissione non si è mai insediata. Di fatto, il disciplinare non è mai stato attivato e noi non possiamo ancora contare su questo strumento che potrebbe difenderci dalle imitazioni e salvare la nostra storia".   

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