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Food delivery, M. Di Porzio (Fipe): “Il contributo di 2 mila euro è un bluff”

“Nessuna delle pizzerie accederà a quel contributo, perché nessuna pizzeria con almeno 3/4 dipendenti e fitto può sopravvivere con un fatturato inferiore a 100 mila euro annui”. L’intervista al presidente Fipe Campania

Quale sarà il futuro della ristorazione in Campania? La Fase 2 prevederà la ripartenza del food delivery? A chiederselo non sono solo i ristoratori, i pizzaioli e le associazioni di categoria, ma anche i tanti clienti che vorrebbero tornare a fare ordini a domicilio per pizze e piatti caldi. “Delivery sì, delivery no” è uno dei temi più caldi e discussi nelle ultime settimane in Campania, unica regione italiana dove vige il divieto delle consegne a domicilio dall’inizio dell’emergenza Coronavirus. Se da un lato il presidente De Luca continua a rinviare la decisione sulla ripartenza del delivery, dall’altro le associazioni di categoria si sono unite e hanno presentato un piano e un protocollo sanitario alla Regione Campania per far ripartire in sicurezza le consegne a domicilio. NapoliToday ha intervistato Massimo Di Porzio, presidente Fipe (Federazione Italiana Pubblici Esercizi) Campania, vicepresidente AVPN (Associazione Verace Pizza Napoletana) e titolare della Pizzeria Umberto 1916, per capire a che punto è il tavolo di trattativa con il presidente della Regione De Luca, e quale sarà il futuro della ristorazione in Campania.

- A che punto è il tavolo di trattativa con De Luca? Nell’ultima diretta Facebook, il presidente della Campania ha annunciato che sta valutando l’ipotesi di far ripartire prima del 3 maggio le consegne a domicilio di pizze e cibo pronto..

 “Noi abbiamo rispettato gli impegni che avevamo preso: abbiamo presentato un piano ed un protocollo sanitario per le ripartenze venerdì mattina, addirittura un giorno prima di quando richiesto. Ci aspettavamo un via libera alle consegne a domicilio già dalla settimana scorsa, almeno per quelle aziende che si adeguano a tale protocollo di sicurezza. Il Presidente ha detto che vuole valutare i numeri della pandemia, che sembrano essere ottimistici. Speriamo di avere buone notizie in settimana, perché oramai l’emergenza economica sta per superare l’emergenza sanitaria e il Presidente non può non tenerne conto”.

- Ritiene che il contributo di 2 mila euro annunciato dalla Regione in favore delle pizzerie campane possa essere uno strumento efficace?

“Questo punto va chiarito! Nessuna delle pizzerie accederà a quel contributo. Forse il Presedente non è stato informato: per accedervi bisgona avere un fatturato massimo di € 100.000 annui, cioè guadagnare 8.333 € al mese. Quale pizzeria con almeno 3/4 dipendenti e fitto potrebbe sopravvivere con quel fatturato mensile? E’ un bluff in piena regola: si è parlato all’inizio di microimprese (che nella definizione della legge sono quelle imprese con meno di 10 dipendenti e meno di 2.000.000 di € di fatturato), salvo poi rendersi conto che non c’erano i fondi e quindi si è limitato il contributo alle imprese con meno di 100.000 €”.

- Le altre Regioni, a differenza della Campania, non hanno mai imposto il divieto del delivery nel corso dell’emergenza? Come si spiega questa differenza con le altre regioni?

“All’inizio eravamo tutti spaventati e temevamo per l’incolumità dei cittadini e del nostro personale, e quindi tutti abbiamo deciso di chiudere per quindici giorni… i giorni sono, poi, diventati 30, e, poi, 45! E soprattutto non è arrivato alcun sostegno alle nostre attività che hanno iniziato ad andare in sofferenza finanziaria, oltre che in depressione. Sono anche venute fuori delle situazioni paradossali, come quelle che si sono verificate a Pasqua, con i pasticcieri artigianali che non potevano consegnare i dolci in Campania, cosa consentita nelle altre regioni d’Italia. Un vero pasticcio, con interpretazioni basate sui codici Ateco. Altro paradosso: nella città della pizza si può mangiare, acquistare o addirittura vedersi consegnata a casa una pizza surgelata, ma non una pizza napoletana artigianale cotta al momento”.

- Qual è la proposta che avete presentato alla Regione? Quale protocollo di sicurezza avete previsto per i dipendenti e per i clienti?

“Noi abbiamo presentato una proposta molto completa ed articolata, che prevede vari protocolli di sicurezza a seconda degli step (delivery, take away e somministrazione) elaborata insieme all’ordine dei tecnologi alimentari di Campania e Lazio. Tenga presente due cose: primo, i nostri esercizi pubblici sono stati sempre oggetto di controlli serratissimi e approfonditi da parte di molteplici autorità (Nas, vigili sanitari, polizia municipale, polizia veterinaria, etc.) e quindi già abbiamo piani Haccp e di sicurezza sul lavoro molto efficienti; in secondo luogo noi possiamo fare delle proposte, ma non giriamo la frittata: le decisioni finali e politiche competono al Governo centrale e mi auguro che poi le regole siano uguali per tutti e non diverse da regione a regione. Sarebbe un ulteriore disastro".

- Quei ristoranti e pizzerie che non hanno mai offerto il servizio a domicilio riusciranno in poco tempo ad adeguarsi al delivery?

“Sicuramente è una tipologia di servizio che richiede una certa organizzazione, dalle modalità di produzione al packaging, dal sistema di consegna al pagamento. Io credo che qualcuno non lo farà, aspettando la riapertura. La realtà è che ci saranno tre fasi differite nel tempo: la prima è il delivery (consegne a domicilio), la seconda il take away (l’asporto) e, infine, la somministrazione al pubblico. Quindi i tempi saranno diversi. Comunque i nostri operatori sono molto veloci ad adeguarsi, ma, secondo me, lo dovranno fare, perché il delivery nei prossimi mesi potrebbe rappresentare buona parte degli incassi dei locali. Non bisogna fare l’errore di guardare i numeri e il mercato prima del Covid 19: d’ora in poi sarà tutto diverso e le persone saranno maggiormente predisposte ad ordinare a casa, rispetto a prima dell’emergenza”.

Gli incassi del delivery saranno sufficienti a coprire i costi della riapertura?

“E’ una domanda a cui non c’è risposta per il momento. Abbiamo provato a fare un’indagine in altre città d’Italia e la situazione è a macchia di leopardo: sicuramente le commissioni delle società di delivery esistenti sono molto alte, fino al 30/35%, ma risolvono molti dei problemi organizzativi e delle responsabilità. Il tema è che le pizzerie e i locali potrebbero organizzarsi con personale proprio che adesso sarà in eccesso, e magari risparmiare. Ognuno dovrà farsi un’analisi dei costi e vedere attentamente il proprio break even. Per me andrebbe fatto, anche se in pareggio, perché permette di riavviare le strutture che sono ferme da un mese e mezzo. Attivare un’azienda non è come gonfiare un palloncino…”.

- Qual è il danno economico maturato dal settore della ristorazione e delle pizzerie in Campania a causa di questa emergenza? Quante attività rischiano di chiudere nella nostra Regione?

“Noi abbiamo stimato che un’azienda su tre avrà grandissima difficoltà a ripartire. Il problema non è solo il periodo di chiusura e I mancati incassi, ma il periodo che ci aspetta almeno fino al 2021, con clienti dimezzati, con turismo azzerato, con la paura dei consumatori di frequentare luoghi pubblici e, soprattutto, con le limitazioni alle aree di servizio che sicuramente ci saranno. La somma delle due cose metterà a dura prova la resistenza finanziaria e di liquidità delle aziende. E’ proprio per questo che noi siamo convinti che non serve a nulla sospendere i pagamenti: sposta solo il problema a un domani che, comunque, arriverà e non sarà molto più roseo del presente. Occorrono assolutamente contributi a fondo perduto che uniti ai finanziamenti bancari garantiti a tasso zero possano dare un po’ di ossigeno a tutti noi”.

- Quando l’emergenza finirà, secondo lei, come cambieranno le modalità di accesso e di consumo nelle pizzerie e nei ristoranti? Cambierà, in qualche modo, il mondo della pizza e della ristorazione in generale?

“Su questo sono molto ottimista. I periodi di difficoltà manifestano sempre grandi opportunità: sicuramente l’organizzazione e la tecnologia aiuteranno molto a sopravvivere ed anche a organizzarsi meglio. Le faccio un esempio: prima dell’emergenza fuori alle pizzerie famose c’erano sempre file (la lunga fila era sinonimo di pizza buona) e, solo una piccola parte di queste dava la possibilità di prenotare. Da adesso in poi bisognerà prevedere un sistema di prenotazione su più turni, e chi vuole andare in pizzerie famose dovrà abituarsi ad avere un certo tempo a disposizione. Contemporaneamente bisognerà essere puntuali e precisi, anche per rispetto degli altri. Un nuovo senso di civiltà e rispetto delle regole e dell’altro ci permetterà di vivere meglio”.

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