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Venerdì, 19 Aprile 2024
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Covid, napoletani in Svezia: "Qui 'Fase 2' da sempre, ma ora i casi sono in aumento"

Due napoletani, entrambi ormai da anni nel Paese scandinavo, hanno raccontato a NapoliToday qual è stata la via svedese al (non) lockdown

Rintanarsi e aspettare che l’epidemia superi il picco e passi, oppure cercare di convivere con il contagio, auspicando l’immunità di gregge: sono due filosofie e due prassi scientifiche estremamente distanti, eppure entrambe hanno trovato applicazione in Europa.
Scelte che hanno contraltari, naturalmente: chi imposto il lockdown ha scommesso sulla possibilità di potersi poi riprendere economicamente senza sprofondare nelle sabbie mobili del circolo recessivo, chi ha preso la decisione opposta ha scommesso invece su un numero di vittime definito, in maniera assai cinica, “accettabile”.

La Svezia, capofila in Europa della seconda filosofia, nelle ultime settimane ha raggiunto il più alto tasso di vittime per Covid-19. La media è di 6,08 decessi al giorno per milione di abitanti, se si considera la settimana dal 13 al 20 maggio. Un rapporto superiore persino a quanto si è registrato in Italia e negli Usa. Queste le cifre: oltre 4mila morti, circa 34mila casi di contagio. Dati che sono saliti rapidamente in questi giorni.

Eppure fino a metà maggio erano molti gli esperti internazionali a lodare la filosofia svedese di rinunciare a rigidi lockdown per affidarsi alla sensibilità dei propri cittadini. Un’idea che sembrava si stesse rivelando azzeccata. Così scriveva sulla rivista scientifica inglese The Lancet Johan Gieseke, epidemiologo svedese e ora consigliere sanitario dell’Organizzazione mondiale della sanità: “C’è molto poco che possiamo fare per prevenire i contagi. Un blocco potrebbe ritardare i casi gravi per un po’, ma una volta alleviate le restrizioni, i casi riappariranno”.

Coronavirus in Svezia (foto Ansa)

Scandinavia dreamin’

Cesare fa il pizzaiolo, Arduino lo scenografo. Non si conoscono tra loro, ma sono entrambi napoletani, ed entrambi hanno vissuto l’emergenza Coronavirus in Svezia, dove risiedono. Li abbiamo raggiunti per avere testimonianze di prima mano sulla diversa modalità di rispondere alla pandemia messa in atto nello Stato in cui vivono.

Innanzitutto ci hanno raccontato cosa li ha portati nel Paese scandinavo. “Vivo a Stoccolma da 18 mesi - spiega Cesare - Mi ci sono trasferito dopo essere stato per 15 anni a Boston, Massachusetts. In America non mi trovavo più bene, ritmi troppo forsennati. Desideravo avvicinarmi anche ai miei che vivono a Vico Equense e quindi ho rispolverato le mie origini per tornare in Europa. Mio padre aveva una pizzeria nel paese, il pizzaiuolo lo so fare ma negli Stati Uniti facevo altro. Pur di tornare in Europa, però, ho deciso rimettere le mani in pasta e devo dire che va piuttosto bene. Ho ripreso l’attività per necessità, era l’unica che potessi fare qui non conoscendo la lingua. Ma in pochi mesi sono già diventato il responsabile dei pizzaioli”.
Sono arrivato in Svezia spinto dalla situazione di lavoratore precario che vivevo in Italia - è il racconto invece di Arduino - Ero stato in Scandinavia precedentemente, per vacanza, e da subito ho pensato che mi sarebbe piaciuto viverci. Venire qui, trovare lavoro, imparare la lingua, non è stato facile. Molte persone hanno un’idea distorta dell’andare a vivere all’estero, io che sono partito senza un lavoro assicurato e senza conoscere nessuno ho dovuto ricominciare da zero”. Qualche difficoltà iniziale, poi il lavoro è arrivato. ”In Svezia ho dovuto inizialmente mettere da parte la mia laurea in scenografia - prosegue - Sono partito dal basso, prima come lavapiatti, poi col tempo ho trovato altri lavori sempre più soddisfacenti. Fino a quando finalmente ho ricominciato come scenografo, per SVT che è la televisione nazionale svedese. Dopo un anno ho cambiato ancora, per un’altra azienda che si occupa sempre di produzioni scenografiche”. ”La pizzeria in cui lavoro si chiama ‘Meno Male’ - racconta invece Cesare a proposito del suo percorso - Facciamo un’ottima pizza, con prodotti italiani di qualità. Tutti quelli che vengono a provarla dicono che è identica a quella del centro storico di Napoli”.

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Povera Patria (la primavera intanto tarda ad arrivare)

Poi è scoppiata l’emergenza, il Coronavirus, il lockdown in Italia, e i piani sono cambiati repentinamente. “Vivo qui con mia moglie e i miei due figli. I miei bambini sono andati a scuola anche durante quello che in Italia è stato il periodo di lockdown - spiega Cesare - Avevo programmato come al solito i miei due o tre viaggi all’anno in Italia. A Pasqua sarei venuto ma non mi è stato possibile, abbiamo dovuto rimandare. Ora non so se verrò in estate, bisognerà capire cosa deciderà il Governo. Solitamente torno per un mese, d’estate, ma se dovessi tornare e fossi obbligato a stare per due settimane in quarantena allora non avrebbe senso. A quel punto preferirei restare qui”.
Vivo ormai in Svezia da quasi nove anni, ho conosciuto qui mia moglie e abbiamo una figlia, una bimba di 6 mesi - ci ha raccontato Arduino - A Napoli provo a tornare almeno una volta all'anno, considerando che anche gli stessi miei genitori hanno iniziato a viaggiare. In questo periodo, infatti, non avevamo noi in programma di fargli visita in Italia, ma sarebbero dovuti venire loro. Ovviamente è stato tutto rinviato, anche la vacanza in Canada che io e mia moglie avevamo organizzato per fine maggio”.

La crisi

Naturalmente anche in Svezia è cambiato qualcosa, sebbene le misure intraprese siano state radicalmente diverse rispetto a quanto non si sia visto in Italia. “La pizzeria in cui lavoro non ha chiuso un solo giorno - spiega Cesare - Il Governo svedese non ha chiuso nulla, ha solo consigliato il distanziamento sociale, la massima cautela, ha spiegato agli anziani che era meglio restare a casa. Questo ha responsabilizzato tutti. Alcune attività hanno chiuso ma in seguito alla carenza di richieste, non per imposizione. Altre pizzerie hanno ad esempio ridotto gli orari di servizio. Ma noi abbiamo lavorato, soprattutto con la consegna a domicilio. Non ci siamo mai fermati. Chiaro, abbiamo perso molto lavoro. Prima ad esempio consegnavamo in molti uffici, che poi si sono svuotati”.
Il virus ha colpito duramente l'economia, e c'è stato un aumento della disoccupazione mai visto prima in così breve tempo - gli fa eco Arduino - I settori più in sofferenza sono quello turistico e quello di cultura e spettacoli, che mi riguarda personalmente. L'azienda per cui lavoro ha perso diversi milioni di Corone (centinaia di migliaia di euro, ndR) in soli due mesi, e tutte le produzioni estive sono state o cancellate o rinviate. In cinque, me compreso, abbiamo perso il lavoro e altri sono in cassa integrazione. La speranza è di mantenere in vita l'azienda in modo da superare questo periodo per poi rientrare a lavorare tutti quanto prima. Questo è il mio caso, ma ho diversi amici che si trovano in situazioni analoghe. Il goverrno svedese sta facendo il possibile stanziando aiuti economici per piccole e grandi imprese, così come è stato rafforzato il sussidio di disoccupazione. Ma sappiamo bene che non è mai abbastanza”.

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Swedish take-away

La Svezia ha avuto il coraggio di affrontare questa situazione in maniera diversa. Andando in città non si nota nulla che faccia pensare ad una pandemia in corso - spiega Arduino a proposito di quanto deciso dal Governo scandinavo - Io inizialmente, preso dal panico per tutto quanto stavo leggendo in giro, ero molto preoccupato. Poi c’ho ragionato su. In un Paese come la Svezia il lockdown non ha senso. Qui c’è una densità di 20 abitanti per km quadro, in Italia è 10 volte tanto. Le distanze sono enormi, e ci sono solo due città che superano il milione di abitanti, con la terza, Malmö, che ne conta 400mila. Io abito a Falkenberg (tra Malmö e Göteborg, 19mila abitanti, ndR) e qui non è raro uscire e non incontrare nessuno per strada”.
Qui hanno deciso di non fermare nulla, abbiamo solo rallentato - sono le parole di Cesare - Diciamo che stiamo facendo jogging ma siamo già in moto, ricominciare a correre sarà più semplice per noi che per chi si è fermato. Certo, ora che c’è stato lo spread-out, il picco, comincio a preoccuparmi. Mi informo di più, leggo notizie online. Ora bisogna prendere precauzioni. L’idea di Lofven (premier svedese, ndR), era di fare in modo che noi convivessimo con il virus. Qualche giorno fa ho chiesto a un amico se fosse preoccupato: ‘Ho paura ma non è una mia priorità’, mi ha detto. E questa sensazione l’hanno trasmessa anche a me, almeno finora. Non era come in Italia, che accendi la tv e trovi solo Coronavirus, esperti, numeri, dramma”.
In Svezia - aggiunge Arduino - si punta all’immunità di massa, o perlomeno si è cercato di convivere con il virus. La Svezia ha un sistema sanitario non dei migliori, proprio per questo si punta a spalmare il contagio in un lungo periodo, dato che un picco immediato sarebbe stato insostenibile per il limitato numero di posti di terapia intensiva. L’idea è che non ci si può aspettare domani il virus scompaia del tutto, ed è impensabile di mettere ad ogni suo ritorno un intero Paese in quarantena. Qui si punta sul senso civico dei cittadini, cosa che dovrebbe essere scontata. Sia chiaro, non mancano neanche in Svezia i casi di stupidità e ignoranza, ma credo che fino ad ora la situazione stia reggendo bene”. “Stiamo comunque parlando di una situazione nuova per tutti, è difficile se non impossibile dire chi sta facendo meglio o peggio in Europa - è la conclusione dello scenografo partenopeo - Solo alla fine di questa emergenza sapremo chi ha avuto ragione. Intanto io la prendo con filosofia: mi sto godendo questa libertà approfittando del tempo libero per fare lavori a casa e godermi mia figlia”.

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