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Covid-19 e discoteche, l’appello dei gestori: “Senza aiuti del governo rischiamo di fallire”

Le dichiarazioni di cinque imprenditori che operano nel settore dell’industria da ballo napoletana

Numerose sono le attività che dal 4 maggio potranno ripartire gradualmente con le dovute misure di sicurezza. Le prime a ricominciare saranno quelle del settore manifatturiero, tessile, moda, automotive, comparto del vetro, costruzioni. I negozi al dettaglio dovranno attendere il 18 maggio. Mentre bar, ristoranti, parrucchieri ed estetisti potranno riaprire al pubblico soltanto l’1 giugno. Gli ultimi a ripartire saranno, invece, le discoteche e i locali da ballo. Per la loro riapertura si parla di marzo 2021. A causa dell’emergenza Coronavirus e del conseguente lockdown, gli imprenditori del settore dell’intrattenimento hanno visto azzerare il loro fatturato dall’oggi al domani, sprofondando in una crisi che potrebbe essere fatale per l’intero settore, asset importante per l’economia nazionale e locale, specialmente per città come Napoli. Ad oggi questa categoria sembra dimenticata, non rientrare tra le priorità del governo, nonostante questo comparto contribuisca a una buona fetta del Pil italiano. L’assenza di misure economiche a sostegno della categoria e la previsione di una possibile chiusura di un anno potrebbe portare al fallimento di tantissime attività con la conseguente perdita di numerosi posti lavoro. Per far sentire la loro voce i gestori dei locali della movida partenopea si sono uniti e hanno inviato una lettera-appello al governatore della Campania, Vincenzo De Luca, per esprime il loro diritto di esistenza e proporre alcune soluzioni per evitare che il settore venga risucchiato dal buio dell’emergenza. NapoliToday ha raccolto le dichiarazioni di alcuni dei protagonisti della nightlife napoletana, per capire cosa significherebbe per le loro attività lo stop di un anno e quali misure di sostegno economico dovrebbe mettere in campo il governo per aiutare il settore.

Pierluigi Scatola, gestore del Common Ground: “Se dovessimo aprire realmente a marzo 2021, molti imprenditori non sopravviverebbero senza aiuti del governo. E se pure dovessero sopravvivere, dovrebbero affrontate un lungo periodo senza profitti per risanare le perdite e smaltire i debiti accumulanti in questo anno di chiusura. Noi chiediamo al governo un sostegno economico per i dipendenti che hanno contratti a chiamata, e per gli imprenditori. Se dovessero fallire più attività ci sarebbe una enorme perdita di posti di lavoro. Basti pensare che un’attività media come la nostra, dà lavoro a circa 90 persone, senza contare i dipendenti delle società esterne con cui collaboriamo (società di spettacolo, di grafica, di comunicazione, di pulizia, di consulenza del lavoro, commercialisti, ecc.) e tutti i fornitori, fondamentali per gli approvvigionamenti (materiale tecnico, beverage, food, ecc). Noi non chiediamo una riapertura immediata delle discoteche e dei locali per grandi eventi, perché siamo consapevoli che nella situazione attuale sarebbe un rischio per i clienti e per noi gestori. Ma una soluzione che, a mio parere, potrebbe essere considerata è la trasformazione delle discoteche e locali da ballo in grandi bar che potrebbero aprire al pubblico con le stesse misure di sicurezza adottate nei ristoranti (posti a sedere con distanziamento, mascherine, ecc)”.

Mario Caruso, gestore dell’Ambasciatori, del Bruttini e del Nero: “Chiudere una qualsiasi attività per un anno sarebbe fallimentare in ogni settore. Per i locali da intrattenimento sarebbe dura fronteggiare un'inattività tanto lunga non solo per i fitti e le utenze da pagare, ma anche per i tanti lavoratori del settore, molti dei quali sono stagionali. Credo che il governo abbia ampiamente dimostrato di non avere gli strumenti necessari sia in termini economici che di facoltà nell'affrontare l'attuale situazione. Unica possibilità di sopravvivenza, a mio parere, è l’annullamento dei fitti, delle utenze e dei contributi fino alla ripresa dell’attività, ma resterebbe comunque il problema dei gestori e dei dipendenti che non percepiscono alcun profitto/stipendio. Qualora dovesse esserci la riapertura, questa non può prescindere dal fondamento di tali attività: i nostri sono luoghi di aggregazione, dove tante volte anche persone sole trovano la loro dimensione, noi non vendiamo alcool e musica, ma accoglienza, disponibilità, serenità, connessione e socialità. Qualora venissero a mancare questi presupposti, non avremmo modo di esistere. Per cui, se anticipare la riapertura significa sacrificare i crismi convenzionali, come il principio di aggregazione, tanto vale stare chiusi e sperare che l’emergenza finisca al più presto”.

Andrea Blandini, gestore dell’HBTOO: “Un anno di chiusura equivale a perdite enormi. Più grandi sono le strutture, più grandi sono le perdite. Il problema principale sono i fitti. Lo Stato avrebbe dovuto portare a zero l’IMU sulle categorie commerciali di tutte le attività. Altro problema sono i dipendenti, molti dei quali non sono stati tutelati con ammortizzatori sociali. Sicuramente un finanziamento a fondo perduto avrebbe fatto piacere a tutti. Un’apertura anticipata con le mascherine non è fattibile, se apriamo dobbiamo farlo in massima sicurezza, ma ricordiamoci che l’assembramento in un locale è indispensabile. L’unica possibilità per aprire prima della data prevista, potrebbe essere un patentino per i nostri clienti e per il nostro personale che certifichi al 100% la negatività al virus. Anche se credo che per far ripartire il settore del divertimento dovremmo aspettare che il virus non sia più un problema. In Campania e in altre Regioni i numeri del contagio sono bassissimi, speriamo che la curva continui a scendere così da poter sperare in una prossima riapertura”.

Luca Iannuzzi, gestore del Nabilah e dell’Archivio Storico: “Riaprire i battenti a primavera prossima significherebbe il fallimento per tutte, o quasi, le strutture e aziende che lavorano nel settore. Si tratta di strutture, nella maggior parte dei casi, molto grandi, con fitti e imposte dirette molto alte, imposte che sarebbero procrastinate e non cancellate. Resistere a fitti alti, a imposte dirette e indirette, e a tutto quel che concerne i costi per il sostentamento di un’attività per un anno intero è utopia. Per questo si deciderà di chiudere. La riconversione in attività similari come American bar o ristoranti, a mio avviso, sarebbe inutile perché o poco fruttuosa o molto rischiosa. Riconvertire significherebbe investire altri soldi con il rischio di perdere anche quelli, occorrerebbe tempo e lavori, senza alcuna garanzia. Il segmento dei locali da ballo è, in questo momento, completamente dimenticato, non ha alcun tipo di tutela. Unica soluzione, a mio avviso, sarebbe quella di dare liquidità alle aziende, annullare completamente le imposte dirette e indirette, e sostenere il fitto, ma, tenendo conto dell’attuale situazione economica italiana, questa ipotesi sembra non perseguibile. Prevedere un’apertura anticipata, in questo momento, con le direttive che ci sono in materia di protocolli anti-contagio sarebbe un suicidio perché la capienza autorizzata per questo genere di strutture, probabilmente, sarebbe 1/10 di quella autorizzata fino ad oggi, e con 1/10 dei clienti non credo si possa sostenere una struttura che ha costi alti e che ha tanti dipendenti. L’ipotesi non è conteplabile. Queste strutture potranno riaprire solo e quando ci sarà un vaccino o una cura, e cioè quando gli assembramenti saranno nuovamente permessi”.

Umberto Frenna, gestore dell’Arenile: “Se il governo non interverrà per supportare il settore con contributi a fondo perduto in proporzione al fatturato delle discoteche, il 90% di queste falliranno. In una discoteca non sarà possibile mantenere le distanze né vivere il locale con indosso le mascherine, per cui, a mio parere, bisogna attendere che il virus fermi la sua corsa”.

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