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Napoli e il Cenone di Natale, Marino Niola: “Ad ogni piatto un significato che coniuga sacro e profano”

“I cibi comandati si chiamano ancora oggi “devozioni”, come nei banchetti sacri dell’antica Grecia. Questo perchè la nostra “abbuffata” natalizia è l’erede moderna delle antiche orge rituali”. L’intervista all’antropologo e scrittore napoletano

La cultura napoletana è intrisa di simbologia che si manifesta in oggetti, gesti rituali, abitudini culinarie e cibi comandati. Durante le feste natalizie la tavola, intesa come momento di condivisione e convivialità, diventa uno dei “luoghi” centrali in cui meglio si esprime questo simbolismo partenopeo. Il cibo non è solo un prodotto che soddisfa un bisogno corporeo, ma diventa qualcosa di più, incarna valori arcaici e antiche tradizioni che si sprigionano nel momento stesso del consumo ma anche della preparazione. Il Cenone della Vigilia è da sempre uno dei rituali più attesi e importanti dell’anno a Napoli, in cui sacro e profano si incontrano per fondersi in un’unica soluzione. Benché sia stato contaminato dalle tendenze consumistiche della Società contemporanea, la cena del 24 dicembre conserva ancora oggi un valore altamente simbolico che ruota attorno al menù natalizio. Ogni piatto previsto dalla tradizione napoletana nasconde dietro il suo aspetto materiale una stratificazione millenaria di simboli. A farci da Cicerone in un viaggio culinario alla scoperta dei piatti natalizi partenopei e dei loro significati è il Prof. Marino Niola, antropologo, giornalista e divulgatore scientifico, nonché docente di Antropologia Culturale e di Antropologia dei Simboli presso l’Università di Napoli Suor Orsola Benincasa, dove dirige il laboratorio “MedEatResearch” sulla Dieta Mediterranea.

- Prof. Niola, questo del 2020 non sarà il solito Natale. Staremo quasi sicuramente in casa, soli o con pochi familiari. Con quale spirito dobbiamo affrontarlo?

“Dobbiamo affrontarlo con spirito realistico e responsabile. A tutti dispiace non poter trascorre il solito Natale, ma questo è un Natale di emergenza, un Natale sospeso. Gli italiani in generale, i napoletani in particolare, danno il meglio di sé proprio nei momenti di difficoltà come questo. Dobbiamo fare i conti con questa situazione che nessuno ha voluto ma che, purtroppo, è davanti ai nostri occhi. Tutti avremmo desiderato il solito Natale, ma non tutti i desideri sono diritti. In certi momenti è più responsabile prendere atto della situazione e non mettere in pericolo sé stessi né i nostri cari, le persone che amiamo. Non ci dimentichiamo che molti contagi avvengono in famiglia, bisogna prendere atto di questo, altrimenti rischiamo di far del male proprio alle persone a cui vogliamo più bene”.

- Il Cenone del 24 dicembre è tra i momenti più attesi dell’anno soprattutto a Napoli. In questo giorno la famiglia si riunisce intorno alla tavola imbandita per mangiare insieme e condividere il cibo. Il pasto diventa un momento “sacro”, un rituale. Che valore ha per un napoletano questo momento?

“Il Natale non è solo una festa religiosa e dello spirito, ma è anche una festa del corpo, è una liturgia gastronomica in cui il cibo è una parte fondamentale, in cui avviene l’incontro con il sacro attraverso i sensi, attraverso il corpo. In questo giorno avviene la santificazione della tavola. E proprio attraverso la scambio del cibo ricostruiamo il legame sociale e il legame affettivo. Non dimentichiamo che il Natale ha una derivazione antica: ancor prima del Cristianesimo esistevano già delle feste pagane che cadevano proprio in questo periodo dell’anno. In queste occasioni veniva preparato un bacchetto comunitario con tutti i cibi sacri dedicati agli Dei: bisognava mangiarli tutti, rifiutarli era un “peccato”. Non è un caso che i cibi della nostra Viglia sono sempre gli stessi (come i cibi sacri agli dei) e si chiamano ancora oggi “devozioni”, perchè devono essere consumati per forza, proprio come avveniva nei banchetti nell’Antica Grecia. La nostra “abbuffata” alimentare è, quindi, l’erede moderna delle antiche orge rituali. Si chiamavano così ma non avevano nulla a che vedere con il sesso. Il termine “orgia” deriva dal linguaggio sacrale della Grecia antica (dalla radice erg-, di érgon, opera, e di ergázesthai, fare) e significa "fare cose in un determinato modo, in un modo prescritto”.

- Le pietanze tipiche del Natale partenopeo hanno un valore altamente simbolico. I menù prevedono piatti rituali, obbligati e immancabili. Lei, in particolare, in un articolo titolato “Il sacrificio del Capitone”, fa riferimento al capitone. Cosa rappresenta questo piatto?

“Sì, i piatti base del Natale sono pietanze con un valore altamente simbolico. Il capitone è un serpente. Il Natale è la festa che celebra la nascita del Dio che si fa uomo e viene al mondo per redimere l’umanità dal peccato originale. Il capitone “sacrificato” rappresenta la vendetta, paga per la colpa originale sul serpente tentatore. E non è un caso che una volta acquistato vivo e allevato amorevolmente per qualche giorno, il capitone venga ucciso proprio dalle donne: sono loro a dover eseguire la sentenza e vendicare Eva trascinata nel peccato originale dal serpente tentatore. C’è un simbolismo rituale molto forte in questo piatto: rappresenta la resa dei conti con il serpente. Ma anche altri piatti sono carichi di simbolismo. Prendiamo ad esempio la pasticceria napoletana: è tutta a base di miele e mandorle con l’esclusione dei derivati animali. Il panettone, ad esempio, non si mangia prima della mezzanotte perchè contiene burro, un grasso animale. Mentre prima della mezzanotte si mangiano roccocò, mUstaccioli, paste reali, ecc, tutti dolci a base di miele e mandorle, dove il legante non è il grasso. Anche questi ingredienti - mi riferisco al miele e alle mandorle - sono simbolici: servivano ad evitare di mangiare grassi e a rispettare il divieto della Vigilia. Le mandorle erano simbolo di vita eterna, di rinascita. Nella pittura medievale Cristo veniva raffigurato all’interno di una mandorla. Mentre il miele nascerebbe dalle lacrime di Cristo. Le api erano considerate animali sacri anche dell’Antica Grecia perchè avevano nutrito Giove quando era bambino. Come vede è un cerchio millenario che si chiude. Non dobbiamo mai dimenticarci che la nostra cultura deriva da quella greca”.

- Anche gli struffoli sono legati dal miele..

“Esattamente. Gli struffoli sono un dolce di magro perchè sono piccole sfere di pasta fritta, senza l’aggiunta di grassi animali, e decorati con piccoli confetti colorati. Devono essere molto piccoli perchè più sono piccoli più è ampia la superficie ricoperta di miele. Più sono grandi e meno è ampia la superficie ricoperta di miele. Questo dolce è diffuso in tutto il Mediterraneo, qualcosa di simile si trova anche in Turchia dove però vengono chiamati “Dita della sposa”. Con lo stesso nome furono importanti a Venezia, città che aveva rapporti stretti con la Turchia. Anche le “Cartellate pugliesi” ricordano molto gli struffoli: sono listarelle di pasta fritta legate con miele e decorate con piccoli confetti. Nel Mezzogiorno vengono anche chiamati “cicerchie” perchè, secondo alcuni, ricordano questo legume. In tutti questi casi, comunque, è un dolce povero: pasta fritta ricoperta di miele, confettini colorati (con scopo decorativo) e confettini argentati che servivano a dare un aroma di anice, la nota fine del piatto”.

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