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Peste suina: quali sono le conseguenze per l'uomo e perché anche la Campania deve mantenere alta la guardia

Parla Giovanna Fusco, direttore del Dipartimento coordinamento sanità animale dell'Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno. I numeri da chiamare in caso di avvistamento di animali malati

La peste suina africana è una malattia infettiva contagiosa e virale. Responsabile del mantenimento della malattia in Africa, attraverso il ciclo silvestre, con vettore i suini selvatici (facocero e potamocero), è la zecca dal guscio molle.

La malattia colpisce i suini domestici e selvatici con una sintomatologia emorragica che porta a morte in 7-10 giorni.

Nel nord Italia è stata individuata un'area infetta che comprende 114 comuni, tra Liguria e Piemonte: più di 40 i cinghiali trovati positivi alla peste suina. Nella nostra regione, nel biennio 2020-2021, sono stati esaminati circa 581 capi, di cui 310 cinghiali e 271 suini, nell'ambito delle attività previste nel piano di sorveglianza passiva sui cinghiali rinvenuti morti o moribondi sul territorio, e su parte dei suini morti nelle azienda, oltre che di sorveglianza attiva, sui cinghiali cacciati. 

Tutte le analisi hanno dato ad oggi esito negativo.

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In merito all'epidemia, ai possibili rischi per l'uomo e alle conseguenze pratiche della diffusione del virus, ecco cosa dice il direttore del Dipartimento coordinamento sanità animale dell'Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno,  dott.ssa Giovanna Fusco :

Quali fattori possono contribuire alla diffusione 

La presenza di un numero elevato di aziende a conduzione familiare e l’allevamento brado e semibrado che favorisce il contatto con i suini selvatici, sono fattori che ostacolano il controllo della malattia. Infine, si aggiunge alla lista il fattore umano con la movimentazione dei suini e loro prodotti (carni, prodotti carnei e derivati) da zone a rischio infezione. La malattia si trasmette direttamente tramite il contatto con animali infetti o il morso della zecca a guscio molle, ma può diffondere anche indirettamente attraverso attrezzi agricoli contaminati, vestiario, scarti di cucina contenenti carne di suino e di cinghiale infetti se somministrati ai suini domestici e selvatici. La presenza dei   requisiti di biosicurezza sicuramente previene l’introduzione del virus nelle aziende, ma considerata la notevole resistenza del virus nell’ambiente e le innumerevoli possibili vie di ingresso a lungo termine, accade che spesso si è portati a ritenere, erroneamente, insufficiente la biosicurezza. Invece, quest’ultima rappresenta l’unica strategia utile a preservare gli allevamenti dall’infezione, considerato che non esiste terapia né vaccino.

Cosa accade agli allevamenti in caso di suini positivi

La normativa vigente prevede la realizzazione di un Piano di sorveglianza passiva della PSA nei suini domestici di allevamenti industriali e dei cinghiali diretto a intercettare, tempestivamente, la circolazione del virus nei vari territori. In caso di positività in allevamento, tutti i suini presenti nell’azienda vengono abbattuti e distrutti (infetti e sospetti infetti) per estinguere il focolaio. La norma prevede anche il blocco della movimentazione dei capi suini e suoi sottoprodotti dalle imprese ricadenti nella zona infetta. Nell’ambito della zona infetta si abbattono anche tutti i capi di aziende che allevano suini allo stato brado e semibrado. Stessa sorte tocca ai capi allevati per autoconsumo. Nel territorio   nazionale è interdetto l’export di capi suini e loro sottoprodotti.

Quali le ripercussioni economiche se il virus si diffondesse anche in Campania

Il maggiore impatto socioeconomico deriva dalla perdita di attività dei flussi commerciali delle imprese produttrici di suini, carne suina e suoi derivati. Basti pensare alla estinzione di tutti i capi di allevamenti focolaio in quanto abbattuti poiché potenziali infetti o morti per la malattia. La ripartenza delle imprese non è immediata in quanto il ripopolamento avviene non prima dei sei mesi a partire dalla data di disinfezione dei focolai. È inoltre vietato su tutto il territorio nazionale il commercio comunitario e internazionale di suini vivi, carne suina e suoi prodotti. Infine, ai danni sopra descritti, si aggiunge la perdita dei posti di lavoro, i costi delle attività di eradicazione (abbattimento dei suini, distruzione delle carcasse, sanificazione, indennità di abbattimento agli allevatori), l’inflazione dei prezzi dei suini e loro prodotti.

Quali i rischi per l’uomo

Nessun rischio per le persone. Le ripercussioni sono di ordine socio economico. Basti pensare al solo divieto di commercializzazione a livello internazionale dei prodotti “Made in Italy” (prosciutto di Parma e San Daniele) e al numero di capi abbattuti e all’obbligo di ripopolamento sei mesi dopo l’estinzione dei focolai. Tutte queste misure si traducono in perdita di posti di lavoro e chiusura delle imprese e aumento della povertà.

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Come contrastare la diffusione della peste suina

Il rimedio è rafforzare la sorveglianza passiva che consente l’individuazione tempestiva del focolaio e la sua delimitazione, unitamente all’attuazione di tutti i requisiti di biosicurezza previsti da parte delle aziende di suini domestici. A tale proposito, si aggiungono i controlli volti    alla verifica del possesso dei requisiti di biosicurezza che vanno innalzati al massimo livello, come pure quelli volti a prevenire comportamenti antropici poco virtuosi da parte dell’uomo. Infine una strategia efficace per il controllo della PSA è anche realizzare una campagna di sensibilizzazione rivolta a cacciatori, agricoltori, allevatori, escursionisti, gestori di poderi, forze dell’ordine affinché collaborino nel recupero dei corpi di cinghiali morti, segnalando il ritrovamento dell’animale morto o moribondo durante le rispettive attività sul territorio. A tale proposito si fa osservare che qualunque episodio di mortalità nel cinghiale è un caso sospetto e va segnalato alle Autorità Sanitarie Locali.

Il ruolo dell’IZSM

All’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno vengono svolte diverse attività diagnostiche, di sorveglianza e di ricerca legate al settore della fauna selvatica. In particolare, i laboratori della sede Centrale e delle sezioni territoriali provvedono alla diagnostica di base tramite esami necroscopici, analisi batteriologiche, parassitologiche, virologiche e istopatologiche. Ogni anno vengono effettuati circa 20.000 esami nell'ambito del Piano Monitoraggio Regionale sulla sorveglianza delle malattie infettive zoonosi che e non della fauna selvatica (B7) e del Piano Trichinellosi (B43), inoltre, diverse attività laboratoristiche hanno l'obiettivo di svolgere costantemente un'attività di early detection di malattie infettive emergenti o riemergenti.

Presso l'Istituto Zooprofilattico del Mezzogiorno è stato istituito l’Osservatorio faunistico venatorio regionale e, inoltre, personale dello stesso Istituto partecipa in modo attivo e concreto al Tavolo tecnico regionale sulle emergenze sanitarie della fauna selvatica.

L’IZSM è coinvolto e coordina diversi progetti di ricerca sulle malattie nella fauna e, negli ultimi anni, sono decine le pubblicazioni scientifiche presenti sulle principali riviste internazionali. Non per ultimo, svolge un ruolo centrale nelle attività di formazione tramite l'organizzazione di corsi specialistici e giornate formative per gli stakeholder del settore.

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