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Venerdì, 19 Aprile 2024
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Quattro anni senza il Petisso, l'argentino-napoletano innamorato degli azzurri

Bruno Pesaola è stato calciatore, capitano e allenatore del Napoli dagli anni '50 fino agli anni '80. Nato a Buenos Aires, ha vissuto per cinquant'anni a Napoli, si sentiva napoletano. È scomparso il 29 maggio 2015, aveva 89 anni

Bruno Pesaola è la storia del Napoli calcio. A partire da quella data di nascita, 28 luglio 1925, che anticipa di un anno la fondazione della squadra napoletana. Da calciatore scelse di legarsi ai colori azzurri nel 1952, per sfuggire al freddo di Novara e in accordo con la moglie, Ornella Olivieri, che aveva un fratello dipendente della Siae negli uffici di Napoli, e che del capoluogo campano raccontava grandi cose. Tra il Petisso (il suo soprannome dovuto alla statura) e Napoli è amore immediato. Pesaola diventerà capitano e idolo dei tifosi perché, ai grandi numeri e a una certa irriverenza nei confronti degli avversari, abbinava la combattività che spesso viene definita "attaccamento alla maglia". Pesaola amava la maglia, amava la città, cominciò a definirsi presto "un napoletano di Buenos Aires". 

Terminata la carriera calcistica, negli anni '60 intraprende quella in panchina in maniera alquanto rocambolesca. In realtà aveva aperto un negozio di scarpe al Vomero, frutto anche degli insegnamenti del padre - calzolaio di Montelupone emigrato in Argentina a inizio '900. Uno dei suoi clienti, il presidente della Scafatese, lo convinse a tornare in campo, non più da calciatore ma da entrenador. La stagione del debutto in panchina fu esaltante, il patron del Napoli Achille Lauro si accorse dell'astro nascente e lo volle subito. Da allenatore Pesaola seppe conquistare, con gli azzurri, una Coppa Italia dalla serie B, impresa mai riuscita a nessuna altra squadra italiana. Con il Napoli sfiorò il titolo più volte, e le mancate garanzie di lotta per il titolo da parte della società gli fecero preferire Firenze, città che gli chiedeva una semplice salvezza e niente più. Fu invece capace di conquistare lo scudetto, nella stagione 68/69, ultimo scudetto per la Fiorentina, potendo contare solo su tredici calciatori. Tornò poi più volte al Napoli, riuscendo a salvarlo dalla retrocessione nello stagione 82/83, un anno in cui la squadra sembrava spacciata e riuscì a rimontare con Pesaola e Rambone in panchina, puntando tutto sulla fase difensiva. Fu una salvezza decisiva, senza la quale probabilmente Diego Armando Maradona sarebbe rimasto a Barcelona. 

Al di là dei meriti sportivi, Pesaola era soprattutto un uomo tutto d'un pezzo e capace di straordinaria ironia. Aveva caparbiamente inseguito i propri obiettivi sin da bambino, e la sua lucidità, che lo ha accompagnato fino alla morte, avvenuta il 29 maggio di quattro anni fa, gli permetteva di seguire il calcio e di commentarlo, senza peli sulla lingua, senza la retorica dell'odierno calcio patinato. Si divertiva ancora guardando il pallone in tv, dalla sua casa di via Manzoni. 

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