Nanni Loy e Napoli: un amore schietto, sereno e obiettivo
Loy fu cantore di Napoli schietto, sereno e obiettivo. Prima di raccontarla nei suoi film, si prese la briga di frequentarla, entrò nei salotti buoni e nei suoi tuguri della, girò strade e piazze, incontrò gente di ogni estrazione sociale e indagò con cura le sue tradizioni e la sua storia. Sardo di nascita, romano d’adozione, Loy venne nel capoluogo campano e se ne innamorò, al punto da ambientarvi diversi film: “Le Quattro giornate di Napoli”; “Café express”; “Mi manda Picone”; “Scugnizzi”; “Pacco, doppio pacco e contropaccotto”. Il primo è considerato un vero e proprio capolavoro, sia per la manifattura, sia perché rivela una profonda conoscenza non solo della cronaca del tempo, ma dell’anima partenopea. Napoli è una città difficile e complessa, ma va raccontata con lo sguardo giusto, scevro da preconcetti e sterili cliché. Ecco perché i film di Loy sono apprezzati ovunque, perché indagano con onestà le sue molteplici facce. In tutte le opere del filone partenopeo Loy dimostra di conoscere perfettamente lo spirito dei napoletani - pensiamo solamente a “Café express” - ma quella più impegnativa è senza dubbio: “Le quattro giornate di Napoli, che ha richiesto un'adeguata documentazione e uno sforzo artistico e organizzativo di proporzioni immani. Il film descrive la rivolta di popolo scoppiata in città spontaneamente, a seguito della fucilazione di alcuni marinai italiani. Esso racconta, con rigorosa precisione e assoluta imparzialità, gli avvenimenti occorsi tra il 27 e il 30 settembre del ’43, in seguito ai quali i napoletani, ancorché disorientati, stremati e senz’armi, debellarono e misero in fuga le truppe tedesche, cosicché, quando poco più tardi arrivarono gli Alleati, trovarono la città già libera. Nell’occasione, Loy dà prova di grande sapienza registica: ingaggiando il meglio degli attori esistenti all’epoca e ricostruendo un’atmosfera d’ambiente di grande realismo storico e vivo coinvolgimento emotivo. Il film, girato nel 1962, descrive l’esasperazione e la rivolta dei napoletani, per le esecuzioni indiscriminate, i saccheggi, i rastrellamenti della popolazione civile, la miseria e la distruzione della guerra. E mentre racconta il dramma degli scontri e l’eroismo di vecchi, uomini e giovinetti in armi, Loy non rinunzia a sottolineare la disorganizzazione degli insorti e l’inefficacia di alcune loro scelte. Parimenti, indulge all'umorismo, che stride con la tragedia in atto, ma che è la dote vincente, la vera forza del popolo partenopeo, che lo accompagna anche nei momenti più bui. E' infatti l'umorismo, o meglio l'autoironia, che gli dà la forza per andare avanti, nonostante le dure prove cui è chiamato ogni giorno, da tempo immemorabile. Prima di raccontare Napoli, l'artista sardo studiò bene la sua storia. Scoprì che la città ha un passato tormentato, ma glorioso, tant’è che fu insignita della Medaglia d’Oro al valor militare, uno dei riconoscimenti più alti cui una città possa aspirare. Questa la motivazione: "Con superbo slancio patriottico sapeva ritrovare, in mezzo al lutto e alle rovine, la forza per cacciare dal suolo partenopeo le soldatesche germaniche, sfidandone la feroce disumana rappresaglia...” Lo stesso Loy è stato ricordato con l’intitolazione di uno slargo a suo nome, sito nei pressi di Piazza Dante. L’artista ha saputo raccontare Napoli, con rispetto e umiltà, con sguardo critico, ma senza ergersi a giudice delle sue sventure. A. M.