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Sabato, 20 Aprile 2024
Cultura

Sapete perché si dice “Piglià p’ 'o c…”?

L'espressione trae origine dalla cerimonia, detta in napoletano “zitabona”, che comportava, per il debitore insolvente, dopo averla compiuta, la necessità di andarsene con una mano avanti e l’altra di dietro

Perchè si dice “Piglià p’ 'o culo”? A spiegarcelo è il libro “Come se penza a NNapule. 2500 modi di dire napoletani", commentati da Raffaele Bracale e a cura di Amedeo Colella.

Letteralmente significa “prendere per il culo”, cioè ingannare, gabbare qualcuno. Locuzione molto più icastica e corposa della corrispondente italiana prendere per i fondelli”, atteso che quella napoletana, più acconciamente, evitando una inutile sineddoche, chiama in causa il contenuto non il contenente. La locuzione in epigrafe nella sua esposizione completa è “Ppiglià p’ ‘o culo a cquaccheduno”. L’espressione ad litteram pigliare/prendere per il culo sta per anche ingannare, gabbare qualcuno, oltre che prendersi gioco di qualcuno, schernirlo, prenderlo per i fondelli, farlo oggetto di beffa, burla, canzonatura, motteggio, irrisione. E’ interessante rammentarsi da quale situazione storico-ambientale tragga origine la locuzione in esame.

Essa si riallaccia alla ignominosa cerimonia detta in napoletano “zitabona” che comportava, per il debitore insolvente, dopo averla compiuta, la necessità di andarsene con una mano avanti e l’altra di dietro (per coprirsi le vergogne). Era infatti quello il modo con cui il debitore si allontanava dal luogo dove, pronunciando l’espressione “cedo bona”, spesso corrotta in “cedo bonus”, dichiarava fallimento manifestando la sua insolvibilità. La cerimonia che adattando il “cedo bona” latino diventava - in napoletano - "zitabona", prevedeva oltre la pronunzia della formula, il dover poggiare le nude natiche su di una colonnina posta a Napoli innanzi al Tribunale della Vicaria a dimostrazione di non aver più niente. Altrove, ad es. a Firenze la cerimonia era la medesima, ma in luogo della colonnina occorreva sedersi, a nude natiche, su di un cuscino di pietra. La cerimonia diede vita a Napoli anche all’espressione “Jiersene cu ‘na mano annante e n’ata arreto” che si usò e si usa a dileggio di chi, non avendo concluso nulla di buono, ci abbia rimesso fino all’ultimo quattrino e non gli resti che l’ignominia di cambiar zona andandosene con una mano avanti e una di dietro. Va da sè che l’essere costretti a mostrarsi a natiche nude in pubblico comportasse il diventare oggetto di beffa, burla, canzonatura, motteggio, irrisione da parte degli astanti, situazione che diede vita all’espressione in esame "Ppiglià p’ ‘o culo” che - come detto - vale prendersi gioco di qualcuno, schernirlo, deriderlo, beffare, burlare, canzonare, irridere, dileggiare, prendere in giro. Per ampliamento semantico, poi, valse pure ingannare, gabbare qualcuno.

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