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Cultura Pendino / Via San Gregorio Armeno

Chiesa di San Gregorio Armeno, conosciuta dal popolo come Santa Patrizia

L’enorme complesso, che ospita le spoglie di entrambi i santi, è tra i più antichi della città: nacque sulle rovine del tempio di Cerere

Molti la conoscono come chiesa di Santa Patrizia – perché custodisce le spoglie della Santa, patrona di Napoli insieme a San Gennaro – ma in realtà è la Chiesa di San Gregorio Armeno, parte di un enorme complesso monastico che si trova nella omonima via, cuore dell’arte presepiale napoletana. È uno degli edifici religiosi più antichi, grandi e importanti della città e sorge su quella che un tempo si chiamava strada Nostriana dal nome dal vescovo che nel V secolo fondò in zona il primo ospedale per i poveri. Sembra che intorno al 930 fu costruita una prima chiesa sulle rovine del tempio di Cerere, ma tesi più accreditate sostengono che la datazione della costruzione originaria risalga all'VIII secolo quando nel luogo giunse un gruppo di monache basiliane seguaci di Santa Patrizia che, in fuga da Costantinopoli, si sarebbero stabilite in città portando con sé anche le reliquie di san Gregorio Armeno.

Nel 1009, in epoca normanna, il monastero si concretizzò in un'intera insula del centro antico unificando quattro oratori circostanti, quelli di San Sebastiano, San Salvatore, San Gregorio e quello dedicato a San Pantaleone. Il monastero che ospitava le monache benedettine si finanziava attraverso donazioni economiche di famiglie nobiliari napoletane, il pagamento di rette mensili utili per ospitare le figlie (spesso appartenenti a famiglie nobili) all'educandato, il fitto di terreni di proprietà dell'istituto religioso o, ancora, attraverso gli alimenti provenienti dai lotti di terra che le religiose affidavano in gestione a contadini. Generalmente le fonti di approvvigionamento bastavano, mentre a volte si dimostravano insufficienti, così le monache chiedevano soccorso ai re di Sicilia come re Guglielmo II di Sicilia o re Tancredi.

Dal 1572 il complesso fu ristrutturato ricostruendo ex novo tutti i corpi di fabbrica preesistenti, con la realizzazione della nuova chiesa, questa volta defilata rispetto al monastero, e nella realizzazione del campanile. Diventata obbligatoria la clausura delle monache, furono completati gli spazi che dovevano ospitarle grazie all’acquisto di nuovi edifici . La primitiva chiesa fu demolita e fu creato il portale d'ingresso esterno con il grande scalone aperto, entrambi in piperno. Tra il 1576 e il 1577 intanto viene completata la cupola maiolicata della chiesa e ultimato il chiostro monumentale. Porta la firma di Domenico Fontana la pavimentazione marmorea eseguita all'interno della chiesa e pochi anni dopo fu avviata la realizzazione del soffitto casettonato, decorato con pitture di Teodoro d'Errico e intagli di vari artigiani napoletani, e furono inoltre aperte alcune cappelle laterali della navata.

A metà Settecento furono molti gli interventi di restauro per adeguare l'aspetto estetico della chiesa al gusto rococò come dimostrano gli intagli del soffitto della navata, le grate del coro delle monache poste in alto (dalle quali potevano assistere alle funzioni religiose senza essere viste) gli stucchi e dorature interne, i cancelletti in ottone delle cappelle così come le balaustre delle prime di entrambi i lati. Con l'avvento di Gioacchino Murat agli inizi dell'Ottocento il monastero rientrò in un primo momento nell'elenco di quelli da sopprimere ma gli fu concesso il privilegio di continuare ad esistere (uno dei pochi monasteri benedettini rimasti superstite dalle soppressioni napoleoniche) probabilmente anche grazie al fatto che questo era uno dei più ricchi della città.

Dal 1864, dopo l'Unità d'Italia, furono traslate in chiesa anche le spoglie di santa Patrizia, e da allora nella chiesa si svolge il rito dello scioglimento del sangue della santa. A inizio Novecento il monastero rischiò di essere scorporato, anche per la progressiva perdita di denaro: così l'ultima badessa, Giulia Caravita dei principi di Sirignano, acconsentì all'ingresso nel monastero di una nuova congregazione, quella delle Suore crocifisse adoratrici dell'Eucaristia che prese quindi possesso dell'edificio il 4 dicembre 1922.

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