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Cronaca

"Va' a vasà 'o pesce 'e San Rafèle": l'augurio partenopeo di fecondità tra serio e faceto

Un rito che affonda le sue radici in una mescolanza di usanze pagane campane e ritualità e iconografie cristiane

"Va' a vasà 'o pesce 'e San Rafèle" ("va' a baciare il pesce di San Raffaele") era una frase augurale che, tra il serio e il faceto, un tempo si rivolgeva alle giovani e belle fanciulle. Un rito che affonda le sue radici in una mescolanza di usanze pagane campane e ritualità cristiane.

L'immagine di San Raffaele, infatti, secondo un'iconografia che ha le sue origini nel racconto biblico del Libro di Tobia, è rappresentata con alcuni pesci in mano.

"Un'antica tradizione - si legge su wikipedia -, che fondeva reminiscenze pagane dei riti campani della fecondità con la ritualità popolare cristiana, voleva che le donne sterili e le fanciulle da marito si recassero a baciare il pesce del santo. Il mare visto come donatore di fecondità e il pesce come antichissimo simbolo cristiano rendevano accettabile il rito, nonostante vi fosse riconoscibile un riferimento sessuale nell'uso eufemistico, comune in napoletano, di pesce per "pene"".

La chiesa di San Raffaele (o più propriamente dei Santi Raffaele e Margherita da Cortona) sorge nel quartiere di Materdei. La struttura fu fondata nel 1759 a cura dei canonici Marco Celentano e Michele Lignola, su disegno di Giuseppe Astarita, insieme al conservatorio femminile (il Ritiro delle Pentite, accogliente le ex-prostitute) con cui divide il fronte stradale.

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