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Cronaca

Terra dei fuochi, il dramma dei bambini: costretti a emigrare per curarsi

I dati contenuti nell'Annuario statistico dell'Istat raccontano una sanità del Sud sempre più spesso incapace di curare i pazienti della propria area. Mancano posti letto e macchinari

I pazienti dal Sud si fanno curare sempre di più al Centro-Nord, con una percentuale di "migrazione sanitaria" particolarmente oltre la media soprattutto nella cosiddetta Terra dei fuochi. È quanto il Corriere della Sera ricostruisce dai dati contenuti nell'Annuario statistico dell’Istat.

I protagonisti di queste storie sono purtroppo soprattutto bambini. Piccole vittime dei veleni. Nelle province di Napoli e Caserta il problema è concreto, comprovato. Lì "ci sono tassi superiori alla media nazionale (rispettivamente 28,9 e 27,5 decessi per diecimila abitanti)", la maggior parte dei quali per tumori.

La pratica di farsi curare altrove è costosa, ma spesso necessaria. Innanzitutto è squilibrato il rapporto tra numero di pazienti e posti letto a disposizione, 3,7 ogni mille abitanti al Nord e 2,9 al Sud (2,7 in Campania). Ma non solo. I Linac, macchinari usati per la radioterapia, sono distribuiti in modo non equo tra le varie regioni. Un esempio: in Lombardia che ne sono 7,5 per milione di abitanti, in Campania 4,7.

Lo spostamento nella sanità muove 3,8 miliardi di euro in tutto il Paese, con una Campania che perde circa 300 milioni l’anno. La spesa non riguarda solo le cure, ma anche le vicende logistiche dei parenti di coloro che vanno a farsi curare fuori. Storie, tantissime, di genitori costretti a conciliare lavoro e spostamenti continui per stare accanto ai loro figli in ospedale.

Esistono anche realtà come a Roma "La casa di Andrea Tudisco", un’associazione, che offrono assistenza alle famiglie con bambini malati gravi che hanno bisogno di curarsi fuori regione. Gli ospiti sono quasi tutti del Sud, molti da Napoli, e restano in media due mesi.

Massimiliano Raponi, direttore sanitario del Bambino Gesù di Roma, fotografa così la situazione: "C’è un problema di distribuzione della rete ospedaliera in Italia – spiega al Corriere – Troppi ospedali fotocopia a poca distanza l’uno dall’altro e una cattiva gestione dell’assistenza territoriale. Il 50% di quelli che arrivano da noi potrebbero tranquillamente curarsi a casa loro. Questo vuol dire che il nodo non è solo nella presenza dei centri specialistici vicino casa ma anche nell’organizzazione di quelli che ci sono".

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