Rifugiati siriani con otto figli in una casa senza acqua né luce
Moussa, la moglie e i loro bambini fanno parte del progetto Sprar Casoria. Sono stati sistemati in una casa colabrodo. In due anni, il capofamiglia avrebbe dovuto imparare l'italiano e un lavoro, ma denunciano: "Ci hanno abbandonato". Ora, a progetto finito, rischiano lo sfratto
Moussa ha 43 anni, è siriano, e circa tre anni fa è scappato dalla guerra insieme a sua moglie e ai loro 8 figli, di cui uno disabile. Attraverso un corridoio umanitario è giunto in Italia ed è entrato nel progetto Sprar del Comune di Casoria. La sua famiglia, come molte altre decine, è stata affidata all’associazione Arci Mediterraneo che nell’arco di due anni, cioè la durata del progetto di accoglienza, avrebbe dovuto trovare un’abitazione dignitosa, insegnargli la lingua italiana e formarla professionalmente. Il minimo indispensabile per renderli autonomi e provvedere a loro stessi. Il tutto finanziato dal Governo centrale.
Nessuna di queste condizioni è stata espletata e, adesso, Moussa e la sua famiglia rischiano di finire per strada. Se da un lato è vero il fatto che queste persone non potrebbero più occupare l’attuale abitazione, dall’altro è altrettanto vero che, se il progetto d’accoglienza fosse stato adeguato, queste persone ora sarebbero autonome e libere di poter vivere la loro vita. La casa è un disastro. Mancano le guarnizioni alle finestre, se piove l’acqua entra in casa. Non ci sono letti per tutti. L’acqua calda è un miraggio e quando serve, deve essere scaldata sul fuoco.
"Io e mia moglie dormiamo per terra - racconta Moussa - d'inverso fa molto freddo perché le finestre non si chiudono bene. Per farci un bagno caldo riscaldiamo l'acqua in un pentolone perché la caldaia non funziona. Spesso salta l'elettricità e restiamo al buio per ore. I miei figli non hanno un posto per studiare, devono farlo stando seduti per terra. Le prese elettriche sono rotte e pericolose, i più piccoli potrebbero mettere le mani sui cavi scoperti".
Tutto ciò che rappresenta una spesa diventa per i siriani un ostacolo insormontabile, come le spese mediche e quelle scolastiche: "Con i pochi soldi che ci da il progetto devo provvedere alle medicine e alle visite mediche. Prima, avevamo un dottore che veniva a visitarci, ma da un anno non c'è più. Qualche volta i vicini hanno portato i miei figli dai loro medici, ma alcuni avrebbero bisogno di cure, per esempio ai denti. Anche per la scuola dobbiamo pagare tutto noi e non sempre sono in grado di farlo".
Come se non bastasse, Moussa non parla una sola parola d’italiano, nonostante Arci Mediterraneo avrebbe dovuto provvedere alla sua formazione. E per quanto riguarda il lavoro, attraverso il progetto Sprar il 43enne ha lavorato come spazzino, per 4 mesi, per la società Casoria Ambiente, partecipata del Comune. Una professione di tutto rispetto, ma senza alcuna specializzazione che Moussa possa rivendere sul mercato del lavoro. Abbiamo provato a chiedere conto del fallimento di questo progetto di inclusione a Mariano Anniciello, responsabile di Arci Mediterrano, non nuova a situazioni del genere. Già a marzo scorso, infatti, Napolitoday denunciò lo stato di degrado e abbandono in cui viveva un’altra famiglia siriana, inclusa nello progetto Sprar di San Giorgio a Cremano e affidata a questa associazione.
"Non mi risulta che la casa sia diroccata - la replica di Anniciello - è stata visitata dal Servizio centrale Sprar e ha superato l'ispezione. Poi, se sono loro a devastarla non posso farci nulla. Per quanto riguarda la lingua, i bimbi vanno a scuola e il capofamiglia si è rifiutato di prendere parte ai corsi".
La tesi di Arci Mediterraneo, quindi, è che Moussa non parla italiano perché avrebbe rifiutato i processi di inclusione e che la casa cade a pezzi perché, senza alcuna motivazione, i siriani l’avrebbero devastata. "incontriamoci, così mostrerò tutta la documentazione" ha proposto Anniciello. Peccato che poco dopo abbia inviato un messaggio affermando di essere stato inibito a rilasciare interviste dal Comune di Casoria. Un’affermazione smentita dall’assessore alle politiche sociali Ornella Esposito: "No, non abbiamo dato nessun input del genere ad Arci Mediterraneo".
Dal canto suo, anche l'assessore Esposito afferma di aver ricevuto rapporti positivi dagli assistenti sociali e dal servizio centrale Spra, sia sullo stato dell'abitazione che sull'avanzamento del percorso di integrazione. C’è da chiedersi come sia possibile che il servizio centrale Sprar abbia valutato positivamente questa casa e come nessuno tra Ministero e assistenti sociali si sia reso conto che durante i due anni del progetto Moussa non stava imparando né l’italiano né un mestiere. È doveroso specificare che l’assessore Esposito rappresenta un’amministrazione in carica da circa un anno e che, quindi, ha ereditato questa vicenda da quella precedente.
Adesso questa famiglia, che va ricordato è in Italia per scappare da una guerra, è sotto minaccia di sfratto per la fine del percorso Sprar. Al momento, hanno subito il taglio delle utenze comprese luce e acqua. Fortunatamente, non tutto è perduto. Caduto il rapporto di fiducia tra mediatore e rifugiato, indispensabile in ogni percoro d'accoglienza, i siriani hanno chiesto di non avere più contatti con Arci Mediterraneo. "Li abbiamo accontentati - afferma l'assessore Esposito - adesso la situazione la sta seguendo Arci nazionale con la collaborazione del Comune di Casoria. Adesso l'obiettivo è quello di inserire questa famiglia in un nuovo progetto che darebbe loro un aiuto per l'affitto di una casa e una piccola dote economica per poter cominciare una nuova vita".
Se l’operazione andasse in porto, potrebbero ottenere i fondi per un anno di affitto e un pocket money. Sperando che questa possa essere la volta buona per porre fine alle loro sofferenze.