I reati sono ormai prescritti, ma sta assumendo contorni sempre più definiti la vicenda del Giro d'Italia del 1999, quella in cui Marco Pantani risultò positivo all'antidoping. “Non sono a conoscenza di come abbiano fatto a modificare i dati di Pantani per farlo risultare positivo, ma il clan ha sicuramente avvicinato chi era addetto ai controlli e lo ha corrotto”: queste parole, agli atti, sono state dette dall'ex boss Augusto La Torre.

Il verbale, dopo 17 anni, scagiona finalmente il campione. La famiglia vuole la verità. “Per sapere chi ha modificato i test – tuona Antonio De Rensis, il loro avvocato – è sufficiente risalire a coloro che potevano maneggiare le provette: si faccia giustizia”.

Augusto La Torre, ex boss di Mondragone che Antonio Bardellino definiva “giovane di belle speranze”, parlò di Pantani con i capiclan Luigi Vollaro, Angelo Moccia, Francesco Bidognetti. Confermarono che “solo i Mallardo di Giugliano, con poteri decisionali nell'Alleanza di Secondigliano, potevano aver fatto una cosa simile”. L'obiettivo era coprire le scommesse in nero, troppe sul “Pirata”: la camorra sarebbe andata in bancarotta se avesse davvero vinto.

Del boss di Mondragone la Dda non si è mai fidata del tutto. Collabora dal 2003, ma fu ad un certo punto escluso dai benefici previsti per i collaboratori di giustizia. Il verbale del suo interrogatorio però trova conferma nelle parole di Renato Vallanzasca, datate 2007. Questi disse che un camorrista gli aveva annunciato Pantani sarebbe stato fermato. E ancora un malavitoso di Secondigliano, intercettato, in una conversazione su Pantani avrebbe detto: “Sì, a Madonna di Campiglio, la provetta fu alterata”.