Tutti i segreti dei narcos vesuviani

Utilizzavano dei cellulari con chat criptate ed un pin d'ingresso per accedere, pur di riuscire ad evitare le intercettazioni. È solo uno dei segreti della famiglia Tamarisco di Torre Annunziata, una delle famiglie di narcotrafficanti più attive dell'ultimo decennio. Una vera e propria “istituzione” del narcotraffico le cui azioni sono state raccontate, nel corso del processo dinanzi al tribunale di Torre Annunziata, dagli investigatori del Gico della guardia di finanza che per mesi li hanno seguiti. Nel corso delle indagini hanno scoperto una serie di stratagemmi per far arrivare la droga dal sud America a Torre Annunziata.

In particolare dall'Ecuador dove potevano contare su degli intermediari e contatti locali oltre che i narcos napoletani come Salvatore Iavarone. Il sistema delle “puntate”, grosse somme di denaro dei clan locali per acquistare droga purissima, garantiva un traffico continuo con il sud America tramite la Spagna. Per parlare tra loro i narcotrafficanti utilizzavano cellulari Blackberry per la possibilità che questi dispositivi davano di effettuare delle conversazioni denominate “pin-to-pin”. Per accedere alle stesse era necessario inserire un pin rendendole criptate e difficilmente intercettabili. Inoltre venivano utilizzate delle parole in codice per riferirsi alle operazioni.

Oppure veniva utilizzato un vecchio strumento, una cabina telefonica di Pompei. In caso di incontri di persona, invece, i Tamarisco utilizzavano solo il dialetto torrese disturbato ulteriormente dall'utilizzo di tv ad altissimo volume per rendere inutilizzabili le intercettazioni ambientali. Questi ed altri dettagli verranno rivelati nel corso del processo dinanzi al tribunale di Torre Annunziata dove sono imputati 15 fiancheggiatori della famiglia di narcos i cui capi sono già stati condannati in primo e secondo grado.