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A cura di Redazione NapoliToday

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Papilloma Virus, il dott. Giorgiano: “Il vaccino previene il cancro dell’utero nel 90% dei casi”

"Non ad allarmismi inutili, i casi di reazioni avverse al vaccino si aggirano intorno allo 0,09%" L'intervista di NapoliToday al Dirigente Ginecologo dell'Ospedale Rizzoli di Ischia Augusto Giorgiano

La polemica nata per l’inchiesta di Report, andata in onda lunedì sera, sulla farmacovigilanza e sulle reazioni avverse al vaccino anti-Hpv non accenna a placarsi. C’è chi ha dichiarato che la trasmissione abbia “diffuso la paura del vaccino raccontando bugie”, come il virologo Roberto Burioni, professore Ordinario di Microbiologia e Virologia della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Vita-Salute San Raffaele. C’è chi ha affermato che Report abbia “propugnato tesi prive di fondamento e anti scientifiche, instillando timore nei confronti di una pratica sicura, efficace e in grado di salvare migliaia di donne da un cancro mortale” come il Ministro della Salute Beatrice Lorenzin. Il giornalista e conduttore televisivo Enrico Mentana ha definito l’inchiesta “una giocata sbagliata”. La bufera ha spaccato anche il mondo politico. Durissimi sono stati gli attacchi di alcuni esponenti del Pd, mentre il M5s si è schierato a difesa del programma. Sigfrido Ranucci, curatore e conduttore del programma di Rai3, si è difeso dicendo che "Report non ha mai messo in dubbio l'utilità dei vaccini”. “Abbiamo solo parlato - ha chiarito Ranucci - di come funziona la farmacovigilanza. C'erano dati che non collimavano e noi abbiamo cercato di capire perché”. Il caso è approdato anche in Commissione di Vigilanza Rai. C'e' addirittura qualcuno che ha parlato di sospensione o chiusura della trasmissione. Ma la Presidente della Rai, Monica Maggioni, è intervenuta dichiarando pubblicamente che “nessuno ha mai pensato neanche per un secondo di chiudere Report”.

Ma c’è effettivamente un nesso di causalità tra vaccino e reazioni avverse? NapoliToday lo ha chiesto al Dirigente Ginecologo dell’Ospedale Rizzoli di Ischia, Augusto Giorgiano.

Il Papilloma Virus come si trasmette e quante tipologie esistono?

“L’infezione da Hpv è la più frequente infezione sessualmente trasmessa, più frequente nelle donne. C’è assenza di sintomi. Esistono oltre 200 tipi di Hpv. Il tipo 611 è responsabile dei condilomi, mentre il tipo 16 e 18 di lesioni pre-invasive e responsabili dell’80% del cancro della cervice. Il tempo che intercorre tra l’infezione e l’insorgenza delle lesioni precancerose è in genere di 5 anni. La latenza invece per l’insorgenza del carciroma cervicale può essere anche di decenni. Nel 95% dei casi, comunque, il tumore della cervice è dovuto a un’infezione genitale da Hpv".

Quante donne contraggono l’infezione da Hpv in italia?

“In italia, ogni anno, si ammalano almeno 3500 donne di cui 1500 muoiono. L’organismo il più delle volte debella il virus prima che questo possa provocare danni. Altre volte si arriva al cancro della cervice. Generalmente, le lesioni si possono trasformare in tumore in un arco temporale che va dai 7 ai 15 anni. I sintomi più frequenti sono il sanguinamento, specie dopo il rapporto, il dolore in sede sacrale e disturbi urinari. I condilomi acuminati o verruche, in genere, si manifestano dopo settimane o mesi dal contagio. L’Hpv è responsabile anche di verruche alla vulva, vagina, uretra, perimeo, ano, bocca e laringe. Nel caso dell’uomo può colpire l’apparato genitale e l’ano. Il 90% delle infezioni, comunque, guarisce spontaneamente”.

Che differenza c’è tra la vaccinazione e l’Hpv-test?

“La vaccinazione è una prevenzione primaria. L’Hpv-test è invece una prevenzione secondaria. In genere le donne che si ammalano di cancro sono donne giovani e in età riproduttiva. Quindi il programma di screening coinvolge sia le donne che non hanno specifici sintomi sia quelle in cui la malattia è già evidente. Il Pap-test e l’Hpv-test permettono di selezionare una fascia di donne a rischio e sottoporre queste a successive indagini di approfondimento. Questi due test, in caso di assenza di sintomi, vanno ripetuti: il pap-test ogni 2 anni (in donne tra i 25 e i 64 anni) e l’Hpv-test ogni 5 anni (in donne maggiori di 30 anni). Va anche detto però che il Pap-test, anche se ha battuto il 50% dei casi di carcinoma della cervice riducendone la mortalità, ha dei limiti: spesso presenta dei falsi negativi e l’ impossibilità di fare altre indagini partendo dallo stesso campione. La media dell’attendibilità Pap-test, infatti, va dal 20 al 40%”.

Per quale motivo è consigliabile fare l’Hpv-test dopo i 30 anni?

“Perché le donne di età inferiore ai 30 anni sono più predisposte a contrarre l’infezione da Hpv e nella maggior parte dei casi si tratta di infezioni transitorie. Questa predisposizione però diminuisce con l’aumentare dell’età. Questo significa che se si effettua un Hpv-test in una donna giovane, facilmente questo risulterà positivo e verrà avviata a indagini di accertamento. Quindi per evitare allarmismi inutili si consiglia di fare l’Hpv-test non prima dei 30 anni. La cosa importante ai fini dell’evoluzione del cancro è la persistenza del virus. Nel caso di donne al di sotto dei 30 anni il più delle volte questa infezione si risolve spontaneamente senza alcuna terapia. E’ importante invece individuare la presenza del virus solo a partire dai 30 anni: se oltre questa età si riscontra una persistenza, allora si procede ad accertamenti più approfonditi”.

A che età si consiglia la vaccinazione?

“L’età consigliata è 12 anni e in Italia è completamente gratuita. Ma si può fare a tutte l’età, l’importante è che le donne siano ancora in età fertile. Possono vaccinarsi anche le donne oltre i 25 anni che hanno già avuto infezioni da una o più Hpv. Ma per una prevenzione effettiva è necessario che si vaccini anche il maschio. In Italia infatti si stima che ogni anno il Papilloma Virus sia responsabile di circa 6500 nuovi casi di tumori in entrambi i sessi. Ritornando all’età della donna, generalmente, il picco del carcinoma è a 50 anni, cioè quando il carcinoma è invasivo. Mentre nel caso di lesioni pre-cancerose, cioè che possono evolvere fino al carcinoma, il picco è a 35 anni. Le infezioni da Hpv causano il 90% dei tumori all’ano, il 70% dei tumori vaginali, il 50% dei tumori al pene, il 40% dei tumori alla vulva e una percentuale ancora non chiara di tumori al cavo orale o alla laringe. Dai 35 anni in poi il tumore della cervice è il più frequente dopo il tumore della mammella. Il cancro al collo dell’utero è il primo a essere riconosciuto come totalmente riconducibile all’infezione da Hpv. I ceppi 16 e 18 sono responsabili del 70% dei casi”.

Perché l’età migliore per vaccinare è 12 anni?

“Perché la migliore finestra immunitaria è compresa tra i 9 e i 13 anni. Cioè si ha una risposta migliore in quell’età”.

Quanti tipi di vaccini esistono e che efficacia hanno?

“Il vaccino contro l’HPV è stato introdotto in Italia nel 2007. Ne esistono due tipi: il bivalente (cioè Il Cervarix) che contiene il ceppo 16 e 18, e il quadrivalente (il Gardasil) che contiene anche i ceppi 6 e 11. Nel nuovo piano vaccinale che coinvolgerà anche i maschi, sarà introdotto un terzo vaccino nonavalente, contenente quindi anche altri ceppi del virus”.

La vaccinazione in che percentuale previene il cancro?

“Il vaccino ha un potenziale di prevenzione del 90% per il cancro al collo dell’utero, del 75-85% per le lesioni pre-cancerose, dell’85-90% per il cancro della volta, dell’80-85% per il cancro della vagina, del 90-95% per il cancro dell’ano e del 90% per i condilomi genitali. Quindi non è che scompare il rischio di ammalarsi. Il vaccino non è un’assicurazione al 100% contro il rischio di sviluppare una lesione pre-cancerosa che possa evolvere in cancro. Il Papilloma Virus è uno dei fattori predisponenti allo sviluppo del cancro dell’utero, ma sono necessarie anche altre concause, come le alterazioni degli ormoni o la diminuzione delle difese immunitarie. Quindi l’Hpv non è da solo responsabile del cancro. Dopo la vaccinazione c’è un’immunità che dura 9 anni, dopo i quali, se si viene a contatto con il virus dell’Hpv, ci dovrebbe essere comunque una risposta immunitaria, ma potrebbe anche non essere così. Con questo voglio dire che il vaccino non deve escludere lo screening, che deve essere lo stesso ripetuto con cadenza quinquennale nel caso dell’Hpv-test e biennale nel caso del Pap-test”.

Quanti sono i casi di reazioni avverse al vaccino in Italia?

“La sicurezza del vaccino continua ad essere ancora oggi monitorata; i sintomi più frequenti sono quelli locali come gonfiore, eritema, dolori locali, presenti comunque in tutte le vaccinazioni. Sono state segnalate anche patologie più importanti, come l’ipotiroidismo, malattie muscolo-scheletriche, artrite, malattie neuro-infiammatorie, sclerosi multipla, malattie gastrointestinali, sindrome di Guillain-Barrè ecc. Ma non bisogna creare allarmismo perché le percentuali, rispetto alle vaccinazioni effettuate, si aggirano intorno allo 0,09%, un caso ogni 100mila adolescenti vaccinate circa, quindi parliamo di una percentuale bassissima”.

C’è un nesso di causalità tra reazioni segnalate e vaccino?

“Ad oggi non è stato riscontrato alcun nesso di causalità. In molti casi segnalati le informazioni cliniche non erano sufficienti a stabilire un nesso di causalità tra il vaccino e determinate patologie. La maggioranza di queste persone hanno avuto reazioni avverse per fattori di rischi precedenti alla vaccinazione. Quindi, ad oggi, né il vaccino bivalente né quello quadrivalente sono la causa, o comunque la causa principale di queste reazioni. C’è solo un nesso temporale ma non casuale”.

Chi monitora questi casi di reazioni avverse?

“In Italia c’è la Rete Nazionale di Farmacovigilanza gestita dall’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) che da un lato raccoglie le segnalazioni di sospette reazioni avverse e dall’altro le diffonde attraverso una rete che coinvolge le Regioni, le Unità Sanitarie Locali, gli Ospedali, gli Istituti di Ricerca Scientifica e le industrie farmaceutiche. L’AIFA è anche in collegamento con il Centro Europeo di Farmacovigilanza e con il Centro Organizzazione Mondiale della Sanità”.

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