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A cura di Redazione NapoliToday

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"Le pareti in tufo delle case sprigionano gas cancerogeno": come proteggersi

Il Radon, sprigionato dai materiali di origine vulcanica come il tufo, è stato classificato dall'AIRC come elemento cancerogeno di gruppo 1 e ritenuto la seconda causa, dopo il fumo, del cancro al polmone. NapoliToday ha chiesto all'architetto Luigi Sciorio quali sono le misure per arginare il pericolo

Tra le mille peculiarità di Napoli ce n’è una che forse non tutti conoscono: la città è stata generata dalle proprie viscere. Sì perché i palazzi della parte più antica di Parthenope sorgono proprio sopra la cava che ha fornito il materiale per costruirli: il tufo. Utilizzato come principale componente delle abitazioni napoletane (e italiane) per la sua capacità coibentante e la sua abbondanza, questo materiale è altamente radioattivo come tutti quelli originati da fenomeni vulcanici (pozzolana, granito, porfido, ecc): emana un gas chiamato Radon. Questo gas non si vede e non si sente, ma se viene inalato è altamente nocivo per la salute. E’ stato, infatti, classificato dall'AIRC come elemento cancerogeno di gruppo 1, cioè a massima evidenza di cancerogenicità, e ritenuto la seconda causa, dopo il fumo, del cancro al polmone. L’Istituto Superiore della Sanità ha stimato che in Italia il numero di casi di tumore polmonare attribuibili all’esposizione al Radon è compreso tra 1.000 e 5.500 ogni anno (su un totale annuale di circa 31.000), la maggior parte dei quali tra i fumatori, a causa dell’effetto sinergico tra Radon e fumo. Nonostante non esista una concentrazione “sicura” al di sotto della quale la possibilità di contrarre il tumore è nulla, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’Unione Europea e i singoli Paesi, sono corsi ai ripari fissando dei livelli di riferimento per le abitazioni e per gli ambienti di lavoro al di sotto dei quali ritengono il rischio accettabile. Il 17 gennaio 2014 è stata poi pubblicata la nuova Direttiva europea sulla protezione dalle radiazioni ionizzanti, con cui sono stati fissati i limiti di concentrazione di attività per la commercializzazione di materiali da costruzione e sollecitati ai Paesi comunitari piani di azione per le concentrazioni di gas radon nelle abitazioni. E’ diventato così obbligatorio, per tutti gli Stati dell’Unione Europea, dotarsi di un piano nazionale “Radon”. Gli Stati membri (compresa, quindi, l’Italia) dovranno conformarsi alla Direttiva entro il termine ultimo del 6 febbraio 2018.

Il livello di Radon presente negli edifici può dipendere da diversi fattori: la dimensione dell’edificio, i materiali utilizzati per la costruzione, i ricambi d’aria, la ventilazione, ecc. La maggiore concentrazione di emissione Radon, comunque, deriva generalmente da una pavimentazione poco isolata e dai solai o dalle intercapedini che sono a stretto contatto con il terreno, come le cantine, i seminterrati e i locali al pianterreno.

Ma come ci si può proteggere dal Radon? NapoliToday lo ha chiesto all’architetto e designer di interni napoletano Luigi Sciorio.

Quali sono i materiali da costruzione che emanano il gas Radon?

“Tra quelli più utilizzati c’è il tufo (il 70% degli edifici napoletani è costruito con questo tipo di materiale), i marmi, in alcuni casi i laterizi (ma dipende dalle zone in cui viene prelevata la materia prima), e la pozzolana.”

Quali sono gli ambienti in cui si può verificare una maggiore concentrazione di questo gas?

“La concentrazione aumenta dove il materiale è più consistente. In un edificio in muratura portante c’è una maggiore concentrazione di gas radon ai piani bassi per il maggiore spessore delle pareti rispetto a quelle dei piani alti, e per la minore distanza dal terreno. Nel sottosuolo di Napoli, infatti, è presente il tufo che sprigiona verso l’alto questo gas. Quindi nei locali a contatto con il terreno c’è una maggiore concentrazione perché il gas viene sprigionato non solo dalle mura ma anche dal sottosuolo. Un altro problema è quello delle aperture: meno aperture ci sono, quindi meno possibilità di areare gli ambienti ci sono, e maggiore è la concentrazione di gas. In uno sgabuzzino al piano terra, ad esempio, dove non esistono prese d‘aria c’è una massiccia concentrazione di radon. Anche i soppalchi hanno questo tipo di problema: nei soppalchi l'abitabilità si abbassa, gli spazi si restringono, e il gas che va verso l’alto tende a concentrarsi proprio in questi ambienti dove generalmente si creano le zone notte”.

Come viene rilevata la concentrazione di questo gas?

“Ci sono diverse modalità. Esistono dispositivi elettronici (amatoriali o professionali) che rilevano il gas con dei sensori, oppure alcune ditte mettono a disposizione delle spugne che vanno collocate nei diversi ambienti dell’abitazione (in quelli principali generalmente, quindi quelli più vissuti, come cucina, camera da letto e salotto) e dopo un arco di tempo (mesi o anche un anno) vanno rispedite a loro che le analizzano e rilevano la concentrazione”.

Quando si deve intervenire?

“Se il livello rilevato supera i 300 Bq/mc si può intervenire in in vari modi. La normativa italiana riconosce il problema ma, ad oggi, non è ancora molto chiara sull’argomento. Si può fare riferimento ai valori raccomandati dalla Comunità europea."

Quali sono i tipi di interventi?

“Se si è al limite di 300 Bq/mc basta cambiare spesso l’aria negli ambienti. Se facciamo cambiare l’aria spesso e non diamo, quindi, il tempo al gas di accumularsi, riusciamo a mantenere la quantità di radon al di sotto questo valore. Se ci troviamo, invece, in ambienti in cui questo gas viene emanato in maniera più massiccia (tra i 300 e i 600 Bq) si possono creare dei condotti di areazione forzata per aspirare e portare all’esterno dell’abitazione il gas (questa tecnica viene utilizzata nelle metro ad esempio). Oppure si può intervenire con la sigillatura: si applicano sulle pareti le resine epossidiche (3 mm di spessore) che sigillano i gas nella parete impedendogli di fuoriuscire nell’ambiente. Un’ultima tecnica, decisamente più costosa e più impattante anche a livello di costi, è la pressurizzazione: in questo caso si creano delle intercapedini dove il radon viene bloccato con un ventilatore creando una leggera sovrimpressione nell’abitazione in modo che poi il gas possa essere espulso verso l'esterno”.

Quali sono le zone di Napoli in cui c’è una maggiore concentrazione di questo gas?

“Il centro storico o comunque tutti gli edifici che sono stati costruiti prima degli anni '50. Il metodo più utilizzato per le costruzioni di questa città è sempre stato il tufo proprio perché a Napoli è sempre stato facile recuperarlo: viene estratto dalle cave. Piazza San Luigi, ad esempio, era una grande cava di tufo. Tutta la parte del sottosuolo napoletano è costituita da cave da dove veniva estratto il tufo. La famosa Napoli sotterranea è formata da antiche cave da dove si prelevava questo materiale. La zona del centro storico, il porto, i Quartieri Spagnoli, quindi, sono tutte zone ad alta concentrazione di radon. Nei bassi napoletani c’è una grande sproporzione tra aria e ambiente, tra aperture e grandezza degli ambienti stessi. Meno movimento d’aria c’è e più il gas tende a concentrarsi”.

Che ruolo deve avere l’architetto nel sensibilizzare e informare sul "rischio Radon"?

“Essendo un tema poco discusso, il tecnico ha un ruolo fondamentale nel sensibilizzare il committente quando si procede con dei lavori di ristrutturazione. Il tecnico, prima di iniziare i lavori, deve innanzitutto rilevare e se trova il gas deve agire nel modo più opportuno”.

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